I primi versi scritti da Wisława Szymborska, poetessa vincitrice del premio Nobel per la Letteratura nel 1996, sono gonfi come un cuore appesantito dalla bruttura della guerra e costituiscono un prezioso documento storico di perpetua attualità.

Il bacio del milite ignoto
Morso a tal punto dalla pallottola
che tutto ciò che è umano mi è estraneo
tranne il tempo a cui mancherò,
tempo come una calda folata –
scorro. La gioia della battaglia
è dietro di me. La battaglia per la gioia,
sogno di brecce nelle porte,
è davanti a voi. Sull’attenti, amici!
La strada maestra – grigia nostalgia –
riecheggiava di salici piangenti.
La madre ancora due lettere,
tre – manderà, delle quattro che ha scritto.
Prima che abbattano la distanza
Come aquiloni stremati –
il grande mondo, questo mondo così grande,
lo farò stare in una piccola ferita.
È un cattivo epitaffio, poeti,
che piange la morte di un eroe.
Lui per i vostri versi si rabbuierebbe
come per una dipartita altrui.
Non voleva essere un eroe,
o fanciulle pietrificate,
quando a voi con la mano di ieri
mandava uno scherzo fiducioso: un bacio.
Canzone nera è il nome, scelto quasi dal fato, dell’inedita raccolta di poesie giovanili della poetessa polacca Wisława Szymborska. I versi, petali di un’antologia verde ma per nulla acerba, coprono il periodo 1944-1948 ed esprimono la drammaticità terracquea di un fenomeno amaramente ricorrente nella vicenda umana – la guerra. La delicatezza quasi ultraterrena dei componimenti, e la terribile oscurità sferzante dei temi e delle immagini sanguigne rendono conto del titolo della raccolta. Il bacio del milite ignoto è una poesia che può essere definita cifra suntiva dei topoi ricorrenti in molti dei versi apprezzabili in questa selezione di poesie.
https://newzpaper.org/2022/03/05/poesia-e-guerra-4-letture-per-riflettere/
Oltre il chiasmatico fervore appassionato del combattente («per il libro estratto senza paura, / per una striscia di cielo limpido / lottiamo.»), sulle fibre del tempo vischioso come tela di ragno, la realtà bellica emerge come uno scempio privo di ogni bellezza. La guerra si estrinseca come un’esperienza ascrivibile ad una sconfinata sofferenza totalizzante e, pur tuttavia, personale – tale da poter essere contenuta nel piccolo foro letale di un proiettile. Il mondo è il simbolo esplicito di un codice poetico, quello della Szymborska, che ricorre ad un’immagine unificante quasi a voler proporre un appello all’umanità, all’unanimità («Il cerchio di uno dei bambini – / equatore sottratto alla terra.») . La parola poetica è descritta con ironia tagliente, o forse con sarcasmo bonario, ed è un elemento che nei versi di questa e di altre poesie dell’antologia sembra coperto da una patina di patetica presunzione – il verbo pare granitico ed insufficiente come una lapide, definitivo fino all’annichilimento, inopportuno nel suo modo di ricondurre un’intera vita alla morte, capace di spegnere il fuoco eterno della matrice umana e, ciononostante, definibile come arma vivificatrice («- il mio dire / sarà sempre come il pathos. Troppo poco. »; «- è dallo stupore / che sorge il bisogno di parole / e perciò ogni poesia / si chiama Stupore – ») . Nel rifiuto dell’eroismo, si svela l’amara dolcezza dell’esistenza che prospera, nonostante tutto, come un germoglio prosperante dall’asfalto: ogni dolore si tende, infine, verso la pulsante speranza di un bacio. In una realtà in cui la parola polemica rimanda etimologicamente alla guerra, la poesia può farsi atto di stupefacente pace.
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