Il 25 aprile è l’anniversario della Liberazione d’Italia, la celebrazione della fine dell’occupazione nazista e della caduta del regime fascista. La Resistenza è evento ed elemento fondamentale nella storia del nostro Paese, e rappresenta un complesso calderone di figure ed eventi, a costituire un intricato laboratorio sociale dai connotati alle volte insurrezionali. Le vicende della Resistenza, da quelle eroiche a quelle drammatiche, sono incarnate da una pletora di individui facilmente evocabili dalla nostra memoria collettiva come audaci uomini e donne.
Storicamente, le donne hanno sempre avuto una rilevanza marginale: tolte poche illustri figure elevate al ruolo di icone, infatti, esse sono sempre state accartocciate tra le pieghe degli eventi, relegate al ruolo di ospiti passivi della realtà, accorpate a bambini ed anziani nel generico ed ingiusto ruolo di esseri deboli. Con La Resistenza delle donne, Benedetta Tobagi ci ispira svariate riflessioni in questo senso, invitandoci a considerare la realtà storica come ad un’eccezione rispetto ad un certo modo di raccontare e scrivere la Storia.
La Resistenza delle donne ha molteplici nomi e molteplici voci, tutti citati con una snella dovizia di particolari: gli occhi delle partigiane luccicano e lampeggiano sotto le pagine, tra le righe, nell’inchiostro. Le facce della Resistenza delle donne sono multiformi, e comunicano sapiente senso pratico, sottocultura femminile, strumentalizzazione e ricanalizzazione degli stereotipi dettati dal maschilismo, ribellione e, in parte, rivoluzione sessuale – in tutto questo, forse, si intravede il senso del proto-femminismo. Le facce della Resistenza delle donne sono molteplici, comunicano emancipazione e liberazione, coscienza di sé, audacia, e abnegazione, paura. La Resistenza delle donne è Storia nella Storia, narrazione di coraggio nello svantaggio: l’intraprendenza femminile, alle volte, era fraintesa nonchè fronteggiata con maggiore crudeltà dall’oppressore, spesso depauperata del proprio valore, defraudata del suo duplice significato innanzi alla nazione e alla società, umiliata nel suo pudore, violentata nel suo essere. Benedetta Tobagi ci racconta l’orgoglio, il trauma, l’onore e l’amore delle donne – amore materno, romantico, ideologico, universale. Questa è una storia di rievocazione e rivendicazione di battaglie, e di consapevolezza intergenerazionale: la testimonianza delle partigiane riecheggia e si estrinseca nella nostra libertà; rappresenta la rete di sostegno di una società patriarcale al tempo svuotata dei suoi uomini, e la base della nostra società attuale. Il ruolo femminile, generalmente riconducibile ad una condotta di privazione e cura del prossimo, si trasforma in una presa di ragione e di potere: gli uomini vengono protetti per loro stesso bisogno, nascosti dalle gonne; la maternità diviene talvolta astrazione; la chiamata alla Storia è spesso ispirata dagli uomini, ma seguita dalle donne – a volte rivendicata come risultato di una personale battaglia interiore, indipendente da influenze esterne, eppure proiettata nella comunità. In questo sta la modernità dell’approccio esistenziale delle donne della Resistenza, e sempre in questo vive la profonda attualità della loro presa di coscienza. Leggendo le testimonianze di queste protagoniste, infatti, non ci si trova a percepire l’apparente anacronismo delle loro esperienze, ma si vive l’urgente e perenne contemporaneità delle loro voci di Penelope.

«”Finalmente mi sono sentita qualcuno”, racconta Rosetta [Rosa Biggi, nome di battaglia Nuvola]. Esperienza elettrizzante, vitale, ma rara, in un mondo in cui le donne erano in massima parte nessuno, semplice funzione riproduttiva, capitale familiare, forza lavoro gratuita, risposta ai bisogni altrui. Mi torna in mente Emily Dickinson:
Io sono Nessuno! Tu chi sei?
Sei Nessuno anche tu?
[…]
Che grande peso essere Qualcuno!
Così volgare – come una rana
che gracida il tuo nome […]
“Essere Nessuno” è un sublime superamento dell’ego e delle sue pastoie meschine, certo, e in questo senso è tutt’uno con il poter essere davvero artista. Eppure avverto, sul fondo, una nota che stride. Un rigagnolo di paura. Il desiderio di sfuggire al peso della responsabilità di entrare nel mondo a viso scoperto […], cosa che, per una donna, è sempre stata particolarmente difficile. Forse persino un diniego dell’ambizione d’essere riconosciuta nel proprio valore […]? Un’ambizione legittima, fisiologica, ma giudicata per secoli (a volte ancora oggi) socialmente inaccettabile; un divieto che troppe donne hanno introiettato […], insieme alla paura di non essere abbastanza, o anche al bisogno luciferino d’essere perfetta – o niente. Quale elegante via di fuga è allora ritrarsi nell’aristocratica superiorità d’esser Nessuno!
[…] questo ribollire di energie da mille fuochi, questa possente spinta alla ribellione femminile è un patrimonio da non dissipare. Lo slancio spontaneo delle donne va raccolto, incanalato e organizzato, al pari di ogni altra risorsa, dalle armi, al cibo, agli uomini.»
La Storia è una ferita nella storia personale di ogni protagonista della Resistenza, la persistenza di una cicatrice sociale monito alla memoria. La Resistenza è stata, per le donne che l’hanno animata, dovere esistenziale – la Resistenza è femmina: se essere è intrepido dovere, essere donna è imperiosa avanguardia.