(Attenzione: se ritieni che questo non sia per te il momento di leggere un articolo relativo ai DNA, allora ti invito a prenderti cura di te e a saltare il paragrafo con il titolo accompagnato da un asterisco o, eventualmente, l’intero testo. Prima di andare via, però, ti consiglio di consultare le “Risorse” riportate alla fine – potrebbero rivelarsi strumenti preziosi).
Il 15 marzo è la Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, ricorrenza indetta grazie all’impegno di Stefano Tavilla, fondatore di Mi Nutro Di Vita e papà di Giulia, diciassettenne scomparsa per bulimia nervosa. Questa data rappresenta un’occasione per ricordare ed è un momento di riflessione, consapevolezza e sensibilizzazione rispetto ai DNA (Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione).
Cosa dice la scienza?
I Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione sono descritti dall’APA (American Psychiatric Association) nell’ambito del DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali). Ad essere presentati, dunque, sono l’anoressia nervosa (AN), la bulimia nervosa (BN), il disturbo da alimentazione incontrollata (o binge eating disorder, BED), il disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo, la pica, il disturbo da ruminazione, i disturbi della nutrizione o dell’alimentazione con e senza specificazione.
In generale, i DNA sono complesse condizioni caratterizzate da un comportamento alimentare disfunzionale, e affliggono maggiormente il genere femminile con età media di insorgenza pari a 17 anni. Tuttavia, il fenomeno non è una prerogativa delle adolescenti e delle giovani donne: piuttosto, si evincono una diminuzione dell’età di insorgenza e un aumento dei casi nella popolazione maschile.
La diagnosi precoce, sempre auspicabile, non è un obiettivo semplice da raggiungere: è difficile, per le persone che ne soffrono, parlare di questi disturbi; inoltre, i primi sintomi non sono sempre facilmente individuabili come tali.
I DNA non sono definiti solo da una situazione di sottopeso – essi possono associarsi anche a condizioni di normopeso, sovrappeso od obesità, e possono compromettere la funzionalità di tutti gli organi del corpo.
Cosa dice la società?
Nel tempo il modello estetico ideale è cambiato molteplici volte, assecondando forme che, generose o meno, si sono spesso rivelate irrealistiche. Questo elemento ricorrente rende conto di una consapevolezza collettiva rispetto all’inconsistenza sociale di suddetti canoni. Indubbiamente, però, emerge sempre una tendenza ad interpretare in modo stereotipato l’immagine di ognuno. Ancora più evidente, poi, il continuo atteggiamento che vede la valorizzazione di certi corpi a scapito di altri. L’errore in quest’ambito vede forse le proprie radici in una narrativa storica: la cultura ottocentesca, affollata di artisti e muse consunti dalla tubercolosi, è forse stata la matrice originaria di una visione drammaticamente romantica del corpo fragile, pallido, debole e per questo quasi resiliente. Al contrario, questa inopportuna idealizzazione si perde, assieme al senso di titanismo interiore, innanzi all’immagine di una figura più florida – tacciata, piuttosto, di ingordigia e relegata al ruolo sociale di pietra dello scandalo. In quest’ottica, potremmo dire che la bellezza sia talvolta associata alla malattia. Ritenere, però, che una persona affetta da DNA viva la propria sofferenza perché spinta da un desiderio puramente estetico equivale a commettere un enorme sbaglio: queste condizioni non corrispondono ad una scelta e, dunque, la malattia non è bellezza.

*Un problema di immagine
L’origine di un DNA è ascrivibile, volta per volta, a percorsi strettamente personali ed indicativi di esperienze individuali. Rimane, però, la riconducibilità universale a corpi vissuti come campi di battaglie interiori. Un DNA può diventare amplificazione ed esasperazione di un solo lato della realtà, appropriazione della propria struttura e contemporanea estraniazione, rassicurante percorso irto di pericoli. L’isolamento in un DNA estromette altri conflitti interiori ed esteriori, invade e monopolizza i pensieri, sconfina sino a portare sofferenza e, al tempo stesso, si reitera nella sua natura di disturbo del controllo (e al bisogno di mantenere ad ogni costo questo elemento, o alla necessità di rinunciarvi). Così un DNA diventa rasserenante gabbia di carne ed ossa; non si tratta di vanità o noncuranza, né di una condizione sintetizzabile in uno slogan, ma di un tentativo di rendere scudo e canale il proprio corpo, di semplificare la realtà proiettando la quotidianità sul pensiero del cibo. Vivere un DNA, in funzione di un regime di restrizione alimentare (o il suo opposto), equivale a privarsi di sé.
https://newzpaper.org/2023/02/10/sibilla-aleramo-una-donna/
Cosa dovrebbe imparare la società?
Un DNA non è una scelta, non è una colpa, non è una vergogna, non è una debolezza da stigmatizzare, non è una condanna, non è prova di instabilità o di squilibrio. Di DNA soffrono i nostri vicini di casa, i nostri compagni di classe, i nostri amici, i nostri cari. I DNA non sono condizioni fuori dal mondo, relegabili all’irrealtà – quest’alienazione farebbe il gioco del disturbo e il male della persona che ne soffre. Come società, dovremmo preoccuparci di valorizzare nuovi canoni estetici e dovremmo ricordare, al contempo, il fatto che i DNA non siano una diretta conseguenza lineare dei modelli proposti. Sarebbe opportuno lavorare ad un’empatia collettiva che possa consentirci di evitare commenti sull’aspetto fisico e sui cambiamenti che possono riguardare lo stesso. Dire a qualcuno che notiamo la sua perdita di peso, il suo aumento di peso, il miglioramento o il peggioramento del suo aspetto, infatti, potrebbe scatenare un tumulto emotivo che non dovremmo provocare con parole poco accorte. I commenti riguardanti le abitudini alimentari di chi ci è accanto, dunque, dovrebbero essere ben ponderati; al contempo, è giusto aumentare la propria capacità di ascolto: i DNA sono disturbi che spesso si muovono nell’ombra e che si nutrono di segreti – bisogna quindi valorizzare i racconti di chi si apre agli altri, e comprendere i silenzi di chi trova difficoltà nel dare voce alla propria esperienza. Offrire supporto ed aiuto nei modi più adeguati può essere una dimostrazione di vera vicinanza, e può portare la persona affetta alla riappropriazione di sé.
Cosa propone la scienza?
Dai DNA si può guarire, e si guarisce. Il trattamento varia a seconda del singolo caso, e delle sue condizioni. In particolare, è importante affrontare appropriatamente tutti gli aspetti del disturbo: un elemento rilevante è rappresentato dai trattamenti psicologici raccomandati dalle linee guida internazionali – tra questi, la Terapia Cognitivo Comportamentale per i Disturbi dell’Alimentazione (CBT-ED) per gli adolescenti e per gli adulti affetti da AN, BN, BED o la Terapia Dialettico Comportamentale (DBT) efficace specialmente nei DNA concomitanti a disturbo della personalità. I familiari sono coinvolti nel trattamento dei pazienti minorenni, e possono esserlo anche in quello dei pazienti maggiorenni, previa autorizzazione.
Risorse
Chiedere aiuto può essere il primo passo lungo un percorso di rinascita: non c’è nulla di cui vergognarsi, e non ci sono persone meno meritevoli di altre. Ognuno è degno di amarsi e di ricominciare a viversi.
Numero verde S.O.S. Disturbi Alimentari – 800 180969
Per lo spazio di ascolto dell’associazione Mi Nutro di Vita clicca qui.
La mappatura territoriale dei centri dedicati alla cura dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione: https://piattaformadisturbialimentari.iss.it/