NewZpaper

SEGUICI SU

LA COSCIENZA DI ZETA

«Mia madre, già da qualche anno, mi aveva parlato delle funzioni misteriose dell’organismo femminile […].»

Sibilla Aleramo, Una donna, 1906 

«Ah, ces fleurs qui poussent dans des miroirs

Sont des fleurs qui brillent aussi dans le noir.

Elle n’a pas peur du tueur de fleurs

Elle les dévore,

C’est une plante carnivore.

Oh, sale tueur de fleurs.»

La Femme, Tueur de fleurs, in Mystère, 2016

Il mistero femminile è un leitmotiv nell’opera primonovecentesca Una donna di Sibilla Aleramo: si estrinseca, talvolta con la dignità di connotato a lettera maiuscola, nella sua affermazione organica e nella sua negazione deprivante; risuona come aspirazione filosofica e come promessa arcaica. Il concetto ritorna ad esprimersi con un’oscura potenza serpeggiante in occasione di ogni tappa della vita della protagonista del romanzo. Quasi come una disseminata minaccia liminale, l’identità femminile si manifesta come uno slancio sconfinato e primordiale, un impeto bacchico che dirompe dal petto.

Madonna, Edvard Munch, 1894-1895

Femminilità – una questione materna

«Tra le due fasi della vita femminile, tra la vergine e la madre, sta un essere mostruoso, contro natura […]. La vergine ignara e sognante trova nello sposo un cuore triste e dai sensi inariditi; fatta donna ed esperta comprende come il suo amore sia stato prevenuto da una brutale iniziazione».

La vicenda, un’autobiografia smascherata, è quella dell’autrice Marta Felicina Faccio – dal misterico pseudonimo di Sibilla Aleramo; lo stile è narrato da una voce ieratica, ed è di una violenza suadente, propria di una poesia atroce. La protagonista ci giunge anzitutto come un germoglio: espiantata dalla terra nativa, condotta in una regione la cui sola luce è quella riflessa dagli attraenti flutti arcani del mare, è cresciuta in fretta perché stirata all’inverosimile nelle sue estremità. Cresce in una famiglia in cui la frattura sociale è pienamente scomposta: il padre è alimentato da una superbia piccolo-borghese e da un progressismo ambiguo, la madre è fiaccata da un’emorragia di aspirazioni sterilizzate. In un contesto intriso di maligna diffidenza, la protagonista appena adolescente crede di trovare un’alleanza nella confidenza con un impiegato del padre, e invece trova solo la violenza. L’orrore viene sublimato in un matrimonio riparatore, e continua a perpetrarsi sotto le mentite spoglie di un dovere matrimoniale – essendo, però, un’imposizione maritale. Le contraddizioni conducono alla scissura delle sue radici genitoriali, e la sventurata subentra alla figura materna, generando un figlio che per lei diventa l’unica ragione di una vita di menzogna, di un’esistenza tale da trarre agli estremi le fibre della giovane, sino all’eversione esistenziale.

Femminismo – una questione di stirpe

«Di madre in figlia, da secoli, si tramanda il servaggio. Ѐ una mostruosa catena. Tutte abbiamo, a un certo punto della vita, la coscienza di quel che fece pel nostro bene chi ci generò; e con la coscienza il rimorso di non aver compensato adeguatamente l’olocausto della persona diletta.»

La protagonista-autrice sopravvive alla fitta nebbia del laudano, ma non a quella della densa brutalità del suo ambiente. L’evasione giunge poi, secondo una sorta di reminiscenza storico-letteraria che riconduce alle vicissitudini di Emma Bovary, dalla lettura vissuta con urgenza vorace. Il mistero, però, covato in un intergenerazionale animo di donna, chiama un’epifania. L’eredità materna, temuta anedonia isterica, si perpetua nella drammaticità del sacrificio estremo, elemento perpetrato come valore assoluto anche quando imposto con la sorda e farraginosa forza del possesso. La negazione del diritto di vivere la maternità, paradossalmente, si deriva in una società che richiede alla femmina di essere madre quando non è ancora equipaggiata per essere donna. Decaduta la funzione delle apparenti fughe semplicisticamente geografiche, la mancanza di un’integrità identitaria e di una riflessione della stessa nelle anime di amati ed amanti porta la protagonista a svelare le dissonanze di una realtà che si riferisce a quella della Nora ibseniana. La rinuncia alla dimora familiare suona sofferta ed amarissima nel saluto al figlio, adorato fino alla venerazione, ed è il disperato tentativo di privare il piccolo della vista dell’oscuro turbamento e dell’irreversibile precipizio materni. La necessità di una cultura legislativa paritaria ed egualitaria, utopica al tempo della narrazione, appare disperatamente reale: qui la contraddizione tra la legge scritta e quella morale è un rigurgito sofocleo che ci riporta al senso tragico di questo romanzo. Il sacrificio delle donne diventa un’entità sociale, si riverbera sui figli, ed è un fatto di γένος, di nascita. Una donna non è un romanzo per ogni donna – si tratta, piuttosto, di un’opera destinata a chiunque voglia farsi testimone dell’esperienza femminile: non riferisce infatti una questione meramente uterina, ma una vicenda ben più trasformativa del menarca.

«Quasi una purissima gioia di creazione m’invadeva quando consideravo dentro di me l’ideale di creature che non portassero più come me, come i miei fratelli e mio figlio, un sangue di perenne contesa; in cui un’unica volontà parlasse, nell’esempio e nel ricordo di genitori amanti e attivi, nella speranza d’una sempre maggiore serenità di vita.»

3 risposte

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *