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LA COSCIENZA DI ZETA

Nel proporre un libro per l’estate si rischia di cadere nel solito cliché del volume dalla copertina lucida con toni caldi, della storia d’amore sicuramente a lieto fine, della narrazione mondana di adorabili frivolezze. La verità è che talvolta la lettura e l’estate sembrano riferirsi ad universi antitetici, e la scelta di un titolo si riduce alla volontà di mantenere un equilibrio tra l’impegno e la leggerezza.
Continuando a cavalcare l’onda intrapresa con il primo articolo (e con il primo consiglio) di questa rubrica, il nostro secondo libro per l’estate è Casa di bambola di Henrik Ibsen. Se la scelta di un dramma teatrale sembra ardita o addirittura forzata, la forza di questa scelta è proprio riconducibile alla sua impostazione teatrale.
Uno scritto formulato per la rappresentazione su palco è, infatti, snello per definizione: le pagine pulite come sabbia e le battute incalzanti si susseguono con intenso dinamismo, le parole si rincorrono come onde sulla battigia, e il flusso del testo è inarrestabile come la marea. Leggere un’opera realizzata per essere messa in scena vuol dire mettersi davanti ad un testo che, nella forma, spesso si sposa perfettamente con la necessità, tutta estiva, di vivere secondo la definizione latina di otium. Questo al di là del fatto che le tematiche affrontate possano essere pesanti da digerire (e per questo ottime per essere fronteggiate mentre si aspetta di fare il primo tuffo dopo pranzo).

Casa di bambola è l’opera più nota di Henrik Ibsen: si tratta, senza dubbio, della fatica letteraria che ha consacrato alla storia il nome del drammaturgo norvegese. Le rappresentazioni di Casa di bambola erano affollatissime, chiacchieratissime ed estremamente controverse. Sul volgere della conclusione del diciannovesimo secolo, infatti, i temi trattati da Ibsen erano pruriginosi e sconvenienti: in Scandinavia molti inviti agli eventi organizzati dall’alta borghesia riportavano diciture che chiedevano agli ospiti di non parlare di Casa di bambola. Sembrerebbe che, addirittura, l’opera sia stata ispirata dalla vicenda reale di un’amica di Ibsen, e che l’autore sia stato allontanato dalla donna che si cela dietro Nora, la protagonista del dramma. Casa di bambola era il tabù sulla bocca di tutti: scritta da un uomo, è stata vissuta come scandalosa prima opera femminista.

Ceneri, Edvard Munch, 1894-1895

Di cosa parla, quindi, Casa di bambola?

Nell’arco di tre atti scopriamo una vicenda che si tende strenuamente fino ad un punto di rottura e di non ritorno. Forse.
Nora è la deliziosa donna di casa, moglie di Torvald, direttore di banca e marito che sin dalle prime battute si rivolge alla sua dolce metà con teneri appellativi grotteschi come lucherino sventato, lodoletta, scoiattolo (quasi a voler disumanizzare quella che per lui è più che altro una graziosissima creaturina sprovveduta). La protagonista racconta il suo idillio familiare all’amica Kristine che, al contrario, lamenta una difficile situazione economica ed esistenziale. Nora si propone di essere d’aiuto, e di chiedere al marito di offrire un lavoro a Kristine.
Tuttavia, a questo scopo, si rende necessario il licenziamento dell’avvocato Krogstad, creditore di Nora: la donna, infatti, aveva precedentemente chiesto un prestito per il pagamento di un soggiorno in Italia necessario per la salute del marito. Torvald, ignaro di questo rapporto economico e della disperazione della moglie, invia all’avvocato una lettera di congedo. Per tutta risposta, Krogstad esige che Nora ripaghi il suo debito intercedendo presso il marito e richiedendo per suo conto una posizione importante in banca – inoltre, congedandosi dalla protagonista, imbuca una lettera destinata a Torvald in cui svela la situazione economica creatasi in precedenza.
Al contempo, Kristine viene a conoscenza di queste complicate vicende e contatta Krogstad per ricongiungersi a lui dopo un rapporto da lei interrotto. Ignari degli ultimi sviluppi, Nora e Torvald hanno un duro confronto scatenato dalla lettura della lettera lasciata dall’avvocato: la furia del marito è sproporzionata e caratterizzata da connotati quasi ridicoli, ed è destinata ad infrangersi in modo patetico innanzi all’annuncio delle rinunce dell’avvocato Krogstad.
La spontaneità infantile e meschina di Torvald si svela in poche battute e si esplicita nella successiva e frettolosa richiesta di perdono; a questo punto Nora ha un’illuminazione: riconoscendo la dimensione misera della propria rilevanza, legata a doppio filo ad eventi dei quali si vede vittima e in balia degli umori del marito, la donna acquisisce improvvisamente un piglio di femminista e decide di abbandonare il tetto coniugale. Così si chiude il terzo ed ultimo atto, ma la vicenda si conclude davvero in questo modo?

 

Le interpretazioni di Casa di bambola

Le prime visioni e le prime letture dell’opera furono letterali e suscitò reazioni fortissime: in occasione della rappresentazione tedesca, Ibsen fu costretto a cambiare il finale dell’opera per venire incontro alle richieste dall’attrice nei panni di Nora, rifiutatasi di interpretare una donna che avrebbe abbandonato il suo compito di moglie e di madre. Tuttavia, Ibsen negò sempre di aver scritto un’opera femminista e, se questa può sembrare un’astuzia volta ad evitare ripercussioni, in realtà tale interpretazione è piuttosto superficiale. Bisogna sapere, infatti, che Casa di bambola stava riscuotendo un grosso successo di vendite proprio per via dello scandalo suscitato.
Un filone interpretativo nasce dalla critica dello psicoanalista Georg Groddeck. Egli evidenzia l’immaturità del rapporto presente-assente tra i due protagonisti, e spoglia Nora del suo abito da femminista: la giovane moglie acquisisce sicuramente coscienza del proprio ruolo di inferiorità nei confronti degli uomini (del padre prima, e del marito poi) e all’interno della società intera, ma formula sogni di indipendenza in modo improvviso, quasi come per ripicca. Non ha strumenti per la realizzazione di queste aspirazioni e non sembra cercarli. Nel corso dell’intera vicenda Nora appare perfettamente inserita nel suo ambiente sociale, nella sua dimora-acquario. La protagonista non manca di esprimere la sottile cattiveria caritatevole dell’alta borghesia e non si risparmia dallo strumentalizzare le sue cosiddette “armi femminili” per sedurre il dottor Rank – personaggio secondario – e per esercitare il proprio potere. Inoltre, l’abbandono di Nora pare inconsciamente dettato da una delusione derivante dall’aver scoperto il lato puerile del marito che la percepisce come una sua proprietà, laddove lei non può fare lo stesso nei suoi confronti. Nora, quindi, appare sconvolta dalla visione di eguali immaturità. La conferma di questa interpretazione si rivelerebbe anche nella conclusione assoluta del dramma: la protagonista esprime la delusione nei confronti della mancanza di un «miracolo che, poi, chissà…» Nora incastra un piede nell’uscio della porta, decide di non essere solo allegra, ma propriamente felice; esce per vedere il mondo e, forse, per tornare indietro.

Separazione, Edvard Munch, 1896

Leggere Casa di bambola oggi

Se quella discussa è la direzione intrapresa dalle letture moderne e contemporanee del testo, perché leggere un’opera del genere nel 2023? Perché Casa di bambola è un dramma acuto, dalle battute a volte ironiche e sarcastiche, con personalità al vetriolo e denunce di una realtà disfunzionale ad ampio spettro: la critica riguarda la subalternità del ruolo della donna, ma anche la vacuità dei rapporti familiari ed interpersonali e la ricerca della convenienza nelle relazioni (di qualsiasi tipo esse siano). Casa di bambola resta attuale, anche se fuori dal suo secolo d’appartenenza, e ha il merito di aver portato il salotto di Nora in ogni salotto d’Europa e di non aver dato soluzioni o condanne, ma di aver posto il dubbio, la domanda. È per questo, quindi, che l’invito alla lettura di Casa di bambola vuole essere un caloroso incoraggiamento.

 

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