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La polvere sotto al tappeto del «Caso Rubiales» – Parte 1

«Insistere nell’attesa e aggrapparsi ad essa non contribuirà a nulla di positivo, né per la Federazione né per il calcio spagnolo». Sono queste le parole di quella che più una lettera di dimissioni sembra una dichiarazione di resa: a renderle pubbliche, nella serata del 10 settembre, è Luis Rubiales, presidente della RFEF (la federazione calcistica spagnola) dal 2018 e vicepresidente della UEFA, la confederazione europea.

Da circa tre settimane, Rubiales era al centro di un caso mediatico e politico, legato al bacio non consensuale che ha dato in mondovisione alla calciatrice Jenni Hermoso, durante la cerimonia di premiazione per il Mondiale vinto dalle Furie Rosse lo scorso 20 agosto. In questo periodo di tempo l’ex difensore e presidente dell’AFA (l’Assocalciatori spagnola) si è arroccato in cima alla montagna delle sue convinzioni, rimandando al mittente con una tenacia talvolta delirante le accuse che gli piovevano addosso da opinione pubblica, organi politici e sportivi, associazioni, stampa, calciatori e calciatrici della sua stessa Federazione.
Si potrebbe pensare, dunque, che la sua rinuncia a tutte le cariche di spessore rappresenti una vittoria, l’eliminazione di una mela marcia – l’ennesima -, un passo avanti importante per il movimento calcistico femminile verso la tanto agognata parità di genere. In realtà, a guardare la situazione spagnola ed europea nel suo complesso, Rubiales (nonostante la sua posizione di assoluto potere) fa più la figura del ladruncolo di quartiere colto goffamente in flagrante e sbattuto in prima pagina, mentre intorno a lui il sistema del crimine organizzato continua a svilupparsi serenamente.
Per comprendere meglio l’iceberg nascosto dietro la punta de el beso, è necessario però riavvolgere il nastro.

Il primo caso riguardante l’attuale squadra femminile spagnola arriva a settembre 2022, quando la RFEF pubblica un comunicato riportando l’insoddisfazione di diverse giocatrici nei confronti del commissario tecnico Jorge Vilda e dei suoi metodi di allenamento. Il testo è strano, inizialmente sembra giustificare la mozione dal basso («La situazione attuale colpisce le giocatrici in modo significativo nel loro stato emotivo e nella loro salute») salvo poi prendere le difese dell’allenatore assumendo toni di rimprovero («La RFEF non consentirà alle giocatrici di mettere in discussione la continuità dell’allenatore della Nazionale e della sua squadra tecnica») e addirittura quasi di minaccia («Le calciatrici torneranno alla selezione solo se riconosceranno l’errore e chiederanno perdono»). Ad uscire allo scoperto con un contro-comunicato saranno 15 giocatrici di assoluto rilievo, tra cui 13 delle 23 convocate per l’Europeo appena concluso. Nella loro risposta, Mapi León, Aitana Bonmati e le loro compagne si lamentano di come la RFEF «abbia reso pubblica, in modo parziale e interessato, una comunicazione privata», chiedendo un impegno fermo da parte della Federazione nel migliorare le loro condizioni di lavoro, «Perché arrivare dove siamo adesso ha richiesto anni di sforzi da parte di molte persone. E ci sono ancora molte cose da migliorare, come abbiamo visto di recente».

In un articolo molto ricco e approfondito uscito su l’Ultimo Uomo, Moris Gasparri evidenzia come il conflitto sociale sia parte integrante del mondo del calcio femminile molto più che di quello maschile (che di rivendicazioni collettive da fare, dalla sua posizione privilegiata, ne ha ben poche). Non a caso, la guerra all’establishment dichiarata dalle giocatrici spagnole arriva dopo episodi analoghi negli Stati Uniti (con la battaglia guidata da Megan Rapinoe per la parità di salario, partita dalla nazionale di calcio e poi diventata una rivendicazione collettiva delle sportive e non solo), in Canada, in Francia. In minima parte lo abbiamo visto anche in Italia, con il duro comunicato delle atlete azzurre a denunciare la mancanza di sostegno nei loro confronti dell’allenatrice Milena Bartolini dopo la deludente eliminazione dal mondiale. Le denunce sembrano puntare non solo al sessismo intrinseco di questo mondo, perpetrato spesso da uomini che assumono ruoli di potere all’interno dell’ecosistema del calcio femminile senza avere né la sensibilità né le conoscenze adatte, ma in generale ad uno schema ripetuto di comportamenti emotivamente abusanti, non solo accettati ma istituzionalizzati, secondo il dogma per cui tutto è lecito se l’obiettivo è vincere.
Non ha sorpreso dunque ritrovare Vilda e tutto il suo staff ancora al loro posto alla vigilia della partenza per il mondiale in Australia e Nuova Zelanda, poco più di un mese fa. Delle ammutinate, solo Bonmati, Batlle e Caldentey hanno fatto marcia indietro, rientrando nell’elenco delle convocate per la spedizione.

Da questo punto in poi, il resto è storia nota: la Spagna quel mondiale lo vince, nonostante questa spaccatura interna e contro i pronostici, battendo per 1-0 in finale l’Inghilterra a Sydney. Durante la premiazione, il presidente della RFEF Rubiales prende tra le due mani il capo di Jenni Hermoso, capitana della formazione, baciandola sulle labbra.

Le immagini diventano subito il centro di una discussione vivacissima dentro e fuori il mondo del calcio femminile, ma soprattutto il primo atto di una telenovela farcita di dettagli e colpi di scena che raccontano di un mondo profondamente ancorato a dei valori incompatibili con il bare minimum di tolleranza, rispetto e responsabilità che dovrebbe venire richiesto a tutte le istituzioni al giorno d’oggi.

(La seconda parte dell’articolo uscirà nei prossimi giorni sempre su Newzpaper.org).