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La storia del manga: Osamu Tezuka

Per coloro che sono appassionati dell’animazione e del fumetto giapponese, sicuramente non risulteranno una novità i grandi occhi, i colori sgargianti, le personalità giocose cariche di sentimenti positivi come amicizia, onestà, ottimismo e coraggio. Per il Giappone del 1947, dilaniato dall’incubo della Seconda Guerra Mondiale, queste caratteristiche causano una vera e propria rivoluzione nel mondo del fumetto che da quel momento in poi non sarà più lo stesso.

Osamu Tezuka: “il dio del manga”

L’autore di questa rivoluzione è solo uno: Osamu Tezuka, “il dio dei manga”, che dal 1946, anno in cui esordisce diciottenne, al 1989, anno della sua morte, si stima abbia prodotto più di 700 storie e più di 150.000 pagine di fumetto. 

Con una produzione tanto ampia e longeva le caratteristiche del disegno e dei personaggi di Tezuka sono riconoscibili in maniera istantanea. I personaggi positivi possiedono solitamente forme rotondeggianti che esplicano la natura positiva del personaggio, in primis grazie ai caratteristici occhioni scintillanti.

I personaggi negativi sono invece spesso ritratti con forme taglienti e colori scuri. Prendiamo ad esempio il manga a puntate Astroboy, in cui uno dei nemici ricorrenti del protagonista, il gigantesco robot Pluto, possiede corna allungabili, denti che sembrano trappole per orsi ed una colorazione con toni che vanno dal blu scuro al nero.

Atom contro Pluto, Astroboy

Grazie a queste caratterizzazioni e ad un’impostazione delle tavole più veloce e con un taglio visivo dell’azione più cinematografico, i fumetti di Tezuka risultano molto più intrattenenti e vivaci rispetto ai classici manga del tempo. Ciò non viene a mancare neanche quando il tema trattato è politicizzato come nell’opera I tre Adolf, sulla seconda guerra mondiale, oppure in Buddha, nascita e vita del creatore del buddhismo. Ma queste innovazioni sono del tutto originali oppure possiamo trovare contaminazioni con altri esponenti del mondo del fumetto e dell’animazione? La risposta come si può immaginare è la seconda, ma l’origine di queste è particolarmente interessante.

Ispirazioni americane

Nel 1945, alla fine del secondo conflitto mondiale, il Giappone venne occupato dalle truppe alleate e diviso sotto il controllo di Unione Sovietica, Cina, Stati Uniti e Regno Unito.

Gli USA in particolare, ebbero un profondo ascendente, prendendo sotto la loro influenza la prefettura di Tokyo, in cui il giovane Tezuka si trasferisce nel 1946 per motivi accademici oltre che per esordire come mangaka. Durante l’occupazione americana, “il dio dei manga” ebbe sempre più occasioni per entrare in contatto con le opere di Walt Disney, che finiranno per contaminare per sempre la caratterizzazione stilistica dei personaggi di Tezuka, che nel 1973 dichiara:

« Mi piaceva Disney, ho adorato Disney, qui davanti a te c’è un uomo la cui vita è stata determinata da Disney. […] Una volta diventato devoto a Disney mi sono messo a copiare e padroneggiare quello stile in cui gli animali sembrano di pezza, finendo per disegnare come vedete adesso.»

Tezuka incontra Disney, Tezuka 1967

Tezuka tuttavia era da principio un disegnatore di manga, e come la maggior parte dei suoi predecessori e colleghi la maggiore ispirazione non derivava dall’animazione, ma dal fumetto stesso, in particolare quello americano, specificando come il genere fosse comico e non supereroistico, noir, pulp o fantascientifico. In un’altra intervista dichiara infatti:

« A quel tempo [post-guerra], tutti i disegnatori americani imitavano le star della commedia. Quello è ciò che ho tanto alacremente cercato di copiare, ed è quindi questo il motivo per cui i miei personaggi hanno le gambe storte e le scarpe grandi. Anche sul contenuto fui profondamente influenzato dalle forti caricature della società delle commedie di Chaplin, le lacrime mescolate con le risate.»

Il fumetto e l’animazione caricaturale invadono quindi il Giappone del post-guerra e Tezuka divora continuamente i grandi lavori prodotti dalla Disney. Tra i suoi preferiti vi sono ovviamente Topolino (prima apparizione ufficiale nel 1928), Biancaneve e i sette nani (1937) e Bambi (1942).

Prima apparizione di Topolino in Steamboat Willie, 1928

Lo scambio e ammirazione tra i due massimi esponenti del fumetto e dell’animazione del ‘900 è reciproco: Walt Disney dichiarerà infatti di voler creare un personaggio rivoluzionario e carismatico come Atom di Astroboy e l’artista nipponico citerà e caricaturizzerà continuamente i personaggi del creatore di Topolino nei propri fumetti. Pensare che una personalità del genere provasse rispetto per Osamu Tezuka ha sempre appassionato i lettori della nona arte e sono stati scritti un numero infinito di articoli sul loro rapporto e le rispettive ispirazioni. Tuttavia risulta lampante una volta che si leggono, e osservano, le opere del maestro giapponese le motivazioni per cui Tezuka non fosse ammirato solo in Giappone, bensì in tutto il mondo.

Le opere di Osamu Tezuka

Kimba, il leone bianco (1950)

La storia del leone albino con una salopette viene condotto alla ribalta anche dalle controversie riguardo un possibile plagio da parte di Disney e del suo Il re leone nel 1994. Tuttavia i personaggi di Tezuka esplorano in maniera differente il legame tra la vita la morte, in un mondo abitato non solo da animali ma anche da umani, immaginando come uno dei primi, cresciuto in cattività e amico di un ragazzo, mantenga “l’ educazione” umana oppure una volta tornato nella giungla ritrovi il proprio istinto.

Nel 1965, il fumetto divenne la prima serie animata a colori della storia dell’animazione giapponese, nonché primo anime ad avere animali umanizzati nel ruolo di protagonisti.

Kimba Il leone bianco

 

Astroboy (1952)

Le storie autoconclusive che raccontano le avventure di Atom, robot dalle sembianze di bambino creato dal dottor Tenma per rimpiazzare il figlio Tobio, morto in un incidente; rifiutato ed adottato dal professor Ochanomizu, questo dona al piccolo automa poteri incredibili ed “emozioni” tramite un intelligenza artificiale avanzatissima.

Il piccolo Atom si trova a svolgere il doppio ruolo di bambino e robot eroe che lotta per la salvezza delle persone e per i diritti degli automi, sfruttati e abusati. Con l’avanzare della scienza e della ricerca, iniziano ad assomigliare non solo nell’aspetto ma anche nel loro “carattere” agli umani. Il razzismo degli umani verso le macchine create è un tema cardine, così come la paura che la scienza prevalga e prenda il controllo.

La storia ottenne subito un grandissimo successo e nel lungo termine affascinò moltissimi altri grandi creativi della storia. Come il già citato Walt Disney, anche il celebre regista Stanley Kubrick, affascinato dal piccolo robot, invitò Tezuka a collaborare con lui per la regia di 2001: Odissea nello spazio. Richiesta che tuttavia Osamu rifiutò per via della fama del carattere poco affabile di Kubrick sul set.

Copertina di un volume di Astroboy

La Fenice (1967)

L’opera che lo ha accompagnato per tutta la vita, incompiuta a causa della sua prematura morte nel 1989.

Scritta a fasi alterne in più di trent’anni l’opera conta di 14 capitoli in 16 volumi, in cui vengono affrontati differenti temi e periodi storici della civiltà umana. La storia non segue un filo univoco, bensì ogni libro racconta un avvenimento differente in cui l’essere mitologico che rinasce dalle sue ceneri compare o compie delle azioni che interferiscono con le vite dei personaggi stessi. Per quindici libri le storie sono alternate in differenti periodi storici: il primo è ambientato tra il 270 ed il 240 a.C. mentre il secondo nel 3404 d.C.. Con l’avanzare della lettura i periodi d’ambientazione vanno a convergere, fino ad arrivare al Libro del sole, in cui la narrazione si svolge contemporaneamente nel passato e nel futuro.

Un’opera magna in cui Tezuka si propone di raccontare l’intera storia umana, dall’antichità ad un futuro immaginario, attraverso le storie di personaggi comuni o eminenti del tempo in cui vivono, immortalando su carta i loro vizi e virtù. Ciò causa un totale coinvolgimento con i protagonisti delle vicende, i quali accompagnati dalla narrazione dell’autore riescono a rompere la quarta parete, dialogare tra loro in maniera sia comica che profonda, senza mai risultare artefatti o surreali e senza perdere la loro autenticità.

La Fenice

Ulteriori Opere

“La nuova isola del tesoro”, liberamente tratto dal celebre libro di Stevenson, nel 1947 Tezuka ripercorre la trama originale del libro. È ricordato principalmente come il manga che per primo ha rinnovato l’estetica del fumetto. “Metropolis”, storia fantascientifica il cui titolo si ispira all’omonimo film di Fritz Lang del 1927. Pubblicata nel 1949, racconta di un conflitto internazionale in cui è in palio la salvezza della terra dal piano di conquista del Duca Red. “La principessa zaffiro”, edito nel 1953 è considerato uno dei primi manga shōjo, indirizzato ad un pubblico femminile. Le vicende di una principessa di una terra fiabesca, costretta a fingersi un uomo così da ereditare il trono e salvare il reame dallo zio malvagio, prossimo in successione, nel caso il re, padre della protagonista, non abbia figli maschi. “Buddha”, pubblicato nel 1972 e finito solo undici anni dopo, narra la vita del Gautama Buddha raccontando le contraddizioni del sistema delle caste indiano visto come freddo e spietato e di come la differente condizione umana espressa dalle differenze estreme dei personaggi vadano a creare i valori del buddhismo. “Black Jack”, nel 1973 Tezuka racconta la storia di un medico in apparenza cinico avido e taccagno il cui corpo è attraversato da una miriade di suture, ma che apparentemente è in grado di curare qualsiasi malattia. La narrazione richiama una delle altre vocazioni di Tezuka: la medicina, in cui il giovane mangaka si era laureato nel 1952.

I tre Adolf”, da molti considerato il suo capolavoro per maturità e tematiche nel 1983 Tezuka ripercorre le vicende della seconda guerra mondiale dagli occhi di tre differenti Adolf, un ragazzo ebreo, un tedesco e il Führer. Nella trattazione si affrontano temi come l’insensatezza della guerra, del razzismo e della difficoltà di ogni persona a cercare di prevalere sul lato “oscuro” fatto di odio e violenza che ogni essere umano porta con sé.