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LA COSCIENZA DI ZETA

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5 miti da spiaggia da sfatare

Ogni anno, secondo uno studio condotto dall’Istat (Istituto Nazionale di Statistica), sono poco più di 25 milioni gli italiani che si concedono una vacanza fuori dalla propria città. Gli altri, circa, 35 milioni preferiscono rimanere nel proprio comune.
D’estate, soprattutto, il mare è il luogo d’eccellenza che ognuno posiziona al primo posto per passare del tempo: sole, acqua e tanto divertimento.
Tanti sono i miti che girano dietro la questione spiaggia, uno di questi è sempre lo stesso: “Bisogna veramente aspettare tre ore per fare il bagno?”, non per forza. Andiamo per gradi.

Quanto tempo bisogna aspettare prima di tuffarsi in mare?
In genere la domanda è sempre rivolta ai più piccoli, che aspettano le consuete tre ore prima di farsi il bagno. Purtroppo, il discorso è molto variabile, tutto dipende da cosa e quanto mangiamo. I tempi di digestione, ovviamente, possono allungarsi se facciamo un uso spropositato di cibo, in questo caso sono tassative le ore da attendere. Invece, il più delle volte, si tende a stuzzicare alimenti più leggeri ( frutta, insalate e panini) così da poter rientrare anche subito in acqua. Il rischio di rientrare immediatamente in acqua, dopo un pasto abbondante, è la congestione: causata da un repentino cambio di temperatura del corpo, in questo caso specifico dovuto all’acqua fredda del mare, che blocca momentaneamente il processo di digestione. Nel giro di qualche ora, il dolore muscolare unito alla nausea, passa ma l’effettivo pericolo è dato dallo svenimento improvviso e di conseguenza l’eventuale affogamento.

All’ombra tanto non ci si scotta
La crema solare è l’unico mezzo che riesce a creare uno scudo protettivo così da proteggere il nostro corpo dai raggi UV dal sole: una piccola parte della luce, un’onda non visibile all’occhio umano, che provoca danni alla nostra pelle. Queste tipologie di onde, il più delle volte vengono riflesse dalla sabbia circostante, arrivando così al nostro epidermide anche in maniera indiretta. Il più delle volte, nei supermercati per esempio, vediamo una moltitudine di creme solari con varie “gradazioni”. In ottica scientifica, il numero stampato sopra la confezione si definisce SPF, è l’acronimo di Sun Protection Factor ovvero Fattore di Protezione solare, che può essere applicato anche in altri contesti come occhiali da sole, indumenti e magliette. Segue una scala graduata, da un minimo di 2 per arrivare oltre 50, nel caso della crema solare 50, per esempio, il suo tasso SPF corrisponde a 50, così da bloccare il 98% dei raggi UV, ecco perché quella prediletta per i bambini. Di norma, si consiglia sempre una protezione con SPF maggiore di 30.

Stando al sole si produce Vitamina D?
La vitamina D è una vitamina liposolubile (si scioglie solo nei grassi) ed è l’unica ad essere generata dal nostro fisico grazie al contatto diretto con la luce. Fondamentale per le ossa, l’umore e per la divisione cellulare, ma non solo, anche per prevenire malattie come la depressione e il diabete. Quando l’organismo è in deficit, per esempio quando si esce poco di casa, vengono prescritti degli integratori alimentari. Secondo i vari studi effettuati, per assicurare il fabbisogno giornaliero di Vitamina D, il corpo dovrebbe stare a diretto contatto con i raggi solari per almeno 30 minuti ogni giorno dell’anno. Tralasciando l’inverno che non sono presenti le condizioni necessarie per prendere il sole, l’estate questo processo non per forza si attiva. In molti fanno uso della crema solare, che, creando questa barriera contro la luce, non permette l’attivazione di tutto quel meccanismo nascosto per la produzione di tale vitamina, indispensabile al nostro organismo.

Si può prendere il sole se si assumono dei farmaci?
È possibile affermare che è vero, tutto dipende da quali farmaci si assumono. Molti medicinali non hanno controindicazioni che vietano l’esposizione diretta alla luce. L’antibiotico, per esempio, è uno dei pochi che non sopporta i raggi solari, infatti potrebbe causare delle macchie sulla pelle. La cosa certa da fare, però, è chiedere al proprio medico quali sono, effettivamente, i farmaci che possono creare fotosensibilità (denominata anche allergia al sole, messa in moto dal nostro sistema immunitario a contatto con la luce solare) o altre tipologie di inconveniente.

Cosa succede se si sta troppo tempo in acqua?
L’adattamento di mani e piedi. Detto così può far storcere il naso, ma è scientificamente provato che i nostri arti, a contatto, per un significativo numero di minuti, con l’acqua si riescono ad adattare. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Newcastle ha eseguito un esperimento scientifico, per spiegare e dimostrare questa teoria: un gruppo di volontari ha dovuto recuperare degli oggetti di marmo immersi in acqua. Si osservò che coloro che avevano già le mani raggrinzite, furono avvantaggiati nell’esperimento con una maggiore presa. Questo effetto, crea una texture, simile ad un pneumatico, così da avere un migliore grip, come delle vere e proprie ruote. Altre teorie scientifiche, ci parlano di questo rigonfiamento dato alla cheratina, una proteina che si lega ad acqua e grassi, che circa dopo 15 minuti si gonfia, a contatto con l’acqua, fino a creare queste pieghe superficiali.