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LA COSCIENZA DI ZETA

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A testa alta: Bill Russell

Monroe, Louisiana, seconda metà degli anni ’30. Bill, il figlio di Katie e Charles Russell, vuole il fucile del padre per vendicarsi di una gang che lo ha schiaffeggiato. La madre, invece, lo accompagna ad affrontare i membri della gang uno ad uno, senza armi, a testa alta.

Oakland, California, anni ’50. La famiglia si è trasferita ad Ovest, dove si fabbricano le navi da guerra, si pratica tanto sport e se chiami qualcuno «figlio di buona donna» non lo insulti. Mamma Katie non c’è piùm come ultima richiesta al marito chiede di mandare il figlio a scuola: con molta fatica, ci riuscirà. Entra nell’università di San Francisco e inizia a giocare a pallacanestro, dimostrando di avere un atletismo mostruoso, seppur accompagnato da poca tecnica.

«Perché non si può stoppare il tiro degli altri? Io stopperò i miei avversari e prenderò i rimbalzi, io gioco così». Da una discussione con il coach di allora, viene posato il seme di una rivoluzione che cambierà per sempre il basket mondiale.

Boston, Massachusetts, 1956. Red Auerbach ha costruito una squadra meravigliosa, i Boston Celtics, giocando una pallacanestro innovativa, incentrata proprio su quel Bill Russell, capace semplicemente di cancellare ogni giocata degli avversari.
Con il suo allenatore, Russell avrà un rapporto fermo, un’amicizia mossa da un enorme rispetto reciproco. Tre anni dopo arriverà nella lega l’unico essere umano in grado di fermare il gigante di Monroe: Wilt Chamberlain. Un semidio che se non avesse avuto la sfortuna cadere nell’era della dinastia Celtics avrebbe chiuso le ferramenta di tutti gli Stati Uniti per la quantità anelli vinti.

Russell e Chamberlain hanno lottato per dieci anni alzando il livello della lega e portando sul parquet uno spettacolo mai visto prima. Nel 1969, durante l’ultima serie uno contro l’altro, Chamberlain finge un infortunio e lascerà il campo subito. Terminando così il dualismo con l’amico-nemico Bill, che non perdonerà mai l’accaduto e tornerà a parlare con l’ex Lakers solo dopo diversi anni.

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Bill Russell, durante la sua carriera, vincerà tantissimo: 11 titoli NBA, 2 titoli NCAA e la medaglia d’oro alle olimpiadi di Melbourne. Diventerà il più grande vincente della storia dello sport americano, il primo giocatore nero a cambiare veramente i paradigmi dall’interno, al pari di Muhammad Alì.
Senza mai dimenticare tutto il male subìto, tanto da bambino quanto da adulto (le minacce erano quotidiane, arrivò persino ad essere sorvegliato dall’FBI) riuscirà a non arrendersi mai, continuando a lottare in prima linea contro il razzismo. Come insegna mamma Katie, sempre a testa alta.

Nel 1963 rifiuterà l’invito di Martin Luther King di salire sul placo del celeberrimo discorso a Washington: «La ringrazio tanto, ma lei ha lottato tanti anni per creare tutto questo, ci sono centinaia di migliaia di persone qui, tutte per lei e per il lavoro mastodontico che ha fatto. Non penso sia giusto nei suoi confronti salire sul palco assieme a lei e al suo staff. Le chiedo magari se è possibile avere un posto in prima fila per ascoltare bene il suo intervento».

Tra le decine di premi vinti nella sua carriera, forse quello più rappresentativo non è stato assegnato direttamente a lui, ma porta il suo nome: dal 2009, il miglior giocatore delle NBA Finals viene premiato con il Bill Russell NBA Finals Most Valuable Player Award. Proprio il premio che lui, pur avendo conquistato per undici volte il titolo, non è mai riuscito a vincere: fu introdotto solo nel 1969, anno del suo ultimo trionfo, ma fu assegnato a Jerry West, sconfitto con i suoi Lakers.

William Felton Russell è stato un uomo fatto a modo suo che non ha mai regalato facilmente delle emozioni, attraversando una vita difficile, vinta con il sudore e la fatica. Il primo titano dello sport professionistico, in assoluto. A testa alta.