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LA COSCIENZA DI ZETA

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Festa della Mamma: tre poesie di Hermann Hesse

«Ma come vuoi morire un giorno, Narciso, se non hai una madre?

Senza madre non si può amare.

Senza madre non si può morire.»

Estratto dal romanzo «Narciso e Boccadoro», di Hermann Hesse.

Strappa sempre un malinconico sorriso scovare di tanto in tanto, sparse per casa, delle poesie e dei lavoretti improvvisati quando si era piccoli con le proprie manine per la Festa della Mamma, che riportano subito alla mente il momento del rientro a casa con il pensierino nelle proprie cartelle, ed in preda all’imbarazzo si recitava la filastrocca che la maestra, con tanta fatica, ci aveva fatto imparare a memoria nei giorni precedenti. Con l’età adulta è un’abitudine che tendenzialmente si è lasciata nel passato, ognuno per via delle sue svariate ragioni, riducendo spesso la celebrazione ad un banale bigliettino d’auguri.

Il rapporto madre-figlio è essenziale nella vita di ognuno di noi, infatti sono moltissimi gli artisti che ne scrivono o ne hanno scritto al riguardo, e non sempre per esprimere amore e benevolenza.

Qui ne sono tre di Hermann Hesse, celebre scrittore e poeta tedesco, naturalizzato svizzero.

«A Mia Madre», Hermann Hesse

«Tanto avevo da dirti
troppo a lungo fui in terra straniera
Eppure giorno dopo giorno
sei stata colei che meglio mi ha capito.

Ora che il mio primo dono
che da lungo a te ho destinato
ho nelle tiepide mani del bimbo
tu hai chiuso gli occhi.

Ma so che leggendo il mio dolore
meravigliosamente si lenisce
perché il tuo essere tanto buono
mi avvolge con mille fili.»

Da queste semplici ma potenti parole si evince lo strazio del poeta a seguito della lontananza dalla adorata madre, unica sulla terra a farlo sentire amato, compreso, protetto, come se fosse ancora nel suo nido di nascita. A trasparire è l’impossibilità di comunicazione a causa della distanza, che possa essere fisica o mentale, non è specificato. Nonostante questa, il sentimento di amore e di devozione rimane in lui forte e poderoso. Il loro rapporto ed il loro sentimento comunque non cambierà mai, perché indissolubilmente avvolto da «mille fili», che li legano reciprocamente, alimentati dalla rara (se non unica) bontà della donna.

«Nel Giardino di mia Madre c’è», Hermann Hesse

«Nel giardino di mia madre c’è
una bianca betulla,

un venticello gira

così piano, che quasi non si sente.

Mia madre segue con tristezza

i viottoli su e giù

ed in pensieri va cercando,

non sa, dove sono.

Mi spinge una colpa oscura

qua e là in vergogna e miseria.

Povera madre mia, abbi pazienza

e pensa che io sia morto.»

Anche qui a separarli è questa ricorrente e misteriosa lontananza, generica: non è ancora specificato se sia fisica o psicologica. Lei non sa dove lui sia, cosa stia facendo, e questo le provoca tristezza e dispiacere, influenzando negativamente i suoi pensieri quotidiani. Non è un caso che lui scelga la «bianca betulla», che per tradizione è abbinata alla fertilità ed alle capacità magiche di guarigione; la betulla è inoltre simbolo di protezione e guida spirituale, purezza e castità, così come lo è tra l’altro anche il colore bianco. Tutti attributi legati così indissolubilmente alla madre. Lui è tormentato, sente il peso e la colpa di questa lontananza, ma non parla di alcuna soluzione per questo frangente se non invitando la madre alla «pazienza», scaricando così su di lei ogni dovere.

«Tienimi per Mano», Hermann Hesse

«Tienimi per mano al tramonto,
quando la luce del giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle…
Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto…


Tienimi per mano…
portami dove il tempo non esiste…
Tienila stretta nel difficile vivere.


Tienimi per mano…
nei giorni in cui mi sento disorientato…
cantami la canzone delle stelle dolce cantilena di voci respirate…


Tienimi la mano,
e stringila forte prima che l’insolente fato possa portarmi via da te…


Tienimi per mano e non lasciarmi andare…
mai…»

Non è un caso che questa poesia inizi dal «tramonto», che è la fine, il decadimento, il declino, la perdita di forza, l’inizio del buio. Perché qui ad emergere è la paura di essere abbandonato, che lei potrebbe andare via, la fine dell’idilliaco rapporto che c’è tra i due. Infatti il desiderio dell’autore è quello di essere portato là, dove il «tempo» non esiste, perché è proprio lo scorrere inesorabile del tempo che porta all’abbandono da parte della madre, all’invecchiamento ed alla sua morte, l’ «insolente fato» che incombe sul loro rapporto.