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Il dilemma dei circuiti cittadini in Formula Uno

La scorsa domenica la Ferrari ha raccolto una cocente delusione nel Gran Premio di Monaco, trovando solo un secondo ed un quarto posto rispettivamente con Sainz e Leclerc. La scuderia è stata accusata di aver sprecato la prima fila conquistata in qualifica con una tattica confusa e cervellotica, ed il finale – con le rosse impossibilitate dal circuito a tentare un qualsiasi attacco alle Red Bull di Perez e Verstappen – ha riacceso il dibattito sui tracciati cittadini. 

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Sicuramente essi sono impegnativi, e richiedono ai piloti una tecnica impeccabile abbinata ad una grande dose di coraggio, oltre a portarsi dietro un fascino ineffabile. Se la loro bellezza estetica è indiscutibile, questi circuiti che attraversano alcune delle più importanti città del mondo sono però spesso teatro di gare a senso unico, monotone, decise già in qualifica. Di frequente la griglia di partenza coincide con le posizioni di arrivo dei piloti e tutto questo va a danneggiare quello che è lo spettacolo di uno degli sport più adrenalinici al mondo.

Sicuramente quello di Montecarlo è l’appuntamento più glamour di tutto il calendario: un Gran Premio storico, che vede le autovetture sfrecciare a quasi 300 km/h parallelamente al porto, attorno ad un paddock gremito di celebrità di ogni tipo.
Con l’avvento delle sponsorizzazioni delle grandi aziende dell’industria petrolifera, però, i circuiti cittadini si sono moltiplicati negli ultimi anni, attraversando i grandi centri abitati di Asia e Medio Oriente, con le auto immerse nella notte metropolitana tra le luci delle insegne pubblicitarie e dei modernissimi grattacieli.

Esempio lampante è il tracciato di Yas Marina, nel calendario della Formula 1 dal 2009, che è interamente costruito sull’isola artificiale di Yas ad Abu Dhabi, tra campi da golf, parchi tematici e hotel extra lusso.
Il circuito – tanto bello quanto ricco di insidie – è uno dei più proibitivi dell’intero calendario. Correndo al tramonto, si rende fondamentale la gestione delle gomme, a causa del forte sbalzo termico che colpisce il tracciato con l’avvento della notte. Anche i meccanici hanno un gran da fare nel corso del gran premio: i lunghi rettilinei alternati alle poderose staccate mettono in seria difficoltà motore e freni delle monoposto, specie nella prima parte della gara, quella più calda.

Al circuito monegasco e a quello degli Emirati Arabi si aggiungono quello di Singapore, teatro del primo storico Gran Premio in notturna nel 2008, capace di offrire scorci da cartolina sui lussuosi palazzi di Marina Bay; e quello di Baku, col suo rettilineo infinito, le velocità folli (ben oltre i 360 km/h di picco) e la temutissima curva 8, una delle più complesse dell’intero Mondiale.

Nonostante le esotiche località da sogno, gli scorci scenografici e le mille insidie tecniche, i circuiti cittadini reiterano sempre lo stesso meccanismo: rendono quasi impossibile sorpassare. In una Formula Uno in cui i corpo a corpo continuano ad essere merce rara, questo tende ad asfissiare ciò che tiene davvero i tifosi incollati alle corse: la bagarre e le azioni coraggiose di piloti che, andando incontro a mille pericoli, riescono a regalare spettacolo. Nei circuiti sopracitati è infatti messa dinanzi a tutto la tecnica del pilota e la bravura dei team nell’elaborazione di una strategia vincente; per quanto avvincente, il risultato finale è un prodotto con un livello di adrenalina ben minore rispetto ad una gara più arrembante e ricca di sorpassi.

Questo sarà dunque uno dei dilemmi del futuro prossimo per la direzione del Circus: continuare a puntare su tracciati suggestivi in grado di attirare nuovi sponsor ed ampliare il mercato della F1, o reinserire in calendario Gran Premi in autodromi storici che favoriscano lo spettacolo in pista.