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La crisi della Juventus è un film già visto

3 vittorie, 2 pareggi e 5 sconfitte nelle ultime 10 partite: numeri adatti ad una squadra con ridotti obiettivi di classifica, non ad una che appena due anni fa festeggiava il suo nono scudetto consecutivo.
La Juventus risulta essere dentro ad un periodo di grandissima crisi sia in termini di risultati che – soprattutto – di fiducia nei propri mezzi. Il ritorno di Massimiliano Allegri in panchina nell’autunno 2021, dopo un biennio sabbatico, evidenziava la volontà di riportare i bianconeri vicini a quella solidità che per anni li ha resi protagonisti in Italia e, spesso, in Europa. Invece, oltre 12 mesi dopo, la Vecchia Signora si ritrova impantanata in una palude fatta di un un gioco poco incisivo e ancora meno emozionante. Cosa succede? Quali sono le cause che hanno portato alla rottura di un equilibrio societario e di squadra che si era dimostrato tra i più solidi del recente passato nel mondo del calcio?

Al centro del ciclone, indiscutibilmente, c’è proprio Allegri, sulla cui testa pesano le aspettative generate da un quadriennale da 7 milioni a stagione (assieme a José Mourinho, è il tecnico più pagato del nostro campionato). Arrivato come salvatore della patria dopo le gestioni positive ma non convincenti di Maurizio Sarri ed Andrea Pirlo, l’allenatore livornese viene da un 2021/22 chiuso tra dubbi e delusioni, in cui ha peggiorato il risultato in classifica di entrambi i predecessori (capaci di registrare rispettivamente 83 e 78 punti, a fronte dei 70 della scorsa stagione).

La Juventus di quest’anno è una squadra estremamente passiva, come da tradizione sotto la gestione Allegri, ma manca di tutte quelle caratteristiche che l’hanno resa efficace nell’ultimo decennio: la solidità difensiva, peggiorata notevolmente dopo gli addii di De Ligt e Chiellini, la capacità di risalire velocemente il campo in ripartenza, così come quella di amministrare il gioco e gestire il ritmo della partita, mantenendone il controllo tecnicamente e psicologicamente. I bianconeri tendono sempre più spesso ad adattarsi all’avversario, senza imporre alcun tipo di impostazione alla gara, anche contro squadre sulla carta molto meno quotate (come dimostrano le sconfitte contro Monza e Maccabi Haifa ed i pareggi contro Salernitana e Sampdoria).

In tutto questo, la decisione di Allegri è quella di rimanere fedele ai suoi principi, anche dal punto di vista mediatico: in una situazione così complessa, in cui il Napoli capolista dista già dieci punti dopo dieci giornate e la qualificazione agli ottavi di finale di Champions League sembra irrimediabilmente compromessa, l’allenatore non ha mai abbandonato il suo atteggiamento istrionico, a volte provocatorio, arroccato nelle sue convinzioni. Si tratta sicuramente di una delle caratteristiche capaci di renderlo uno dei più vincenti di sempre, ma al momento rischia di farlo sembrare un guardiano che predica calma e tranquillità mentre la foresta attorno a lui è già in fiamme. I tifosi, ovviamente, sono sempre più insofferenti: da qualche settimana all’Allianz Stadium spuntano a vista d’occhio striscioni polemici, sebbene alcune frange sembrano avere ancora fiducia nel proprio tecnico.

Sotto il punto di vista delle qualità dei singoli giocatori la Juventus non ha nulla da invidiare alle migliori compagini europee: merito anche di investimenti onerosi negli ultimi 12 mesi: da Vlahovic a Bremer, passando per Paredes, Milik, Pogba e Di Maria.
Una delle tesi di difesa sostenute costantemente da Allegri è quella di non aver mai avuto la rosa al completo con cui lavorare: Pogba, costretto all’operazione dai problemi al menisco, non è ancora sceso in campo con i bianconeri; lo stesso Di Maria ha già collezionato molteplici assenze, colpa degli infortuni e della squalifica successiva all’espulsione contro il Monza. Per una squadra costruita tanto per fare affidamento sulle qualità dei singoli, per cercare le giocate estemporanee capaci di rompere l’equilibrio e mettere le gare in discesa, sono dei fattori da non trascurare. Allegri si è trovato spesso a dover optare per dei giovani promettenti in rampa di lancio, su tutti Fabio Miretti e Matias Soulé, ma non si è mai preso il rischio di integrarli come titolari fissi per più di un paio di match, limitandoli al ruolo di armi da schierare quando – ed è successo spesso – c’è da provare a ribaltare il risultato nel finale. 

Una serie di fattori che rimandano alla crisidella stagione 2015/2016. Il 28 ottobre 2015 la Juventus esce sconfitta dalla sfida in trasferta contro il Sassuolo, rinunciando praticamente ai sogni scudetto, a 11 punti dalla roma capolista. E invece, i bianconeri chiuderanno la stagione da campioni, con 15 vittorie consecutive durante la stagione e 91 punti in classifica. 

Eppure, sembra davvero difficile trovare nel tumulto della Juventus attuale degli spunti da cavalcare per ribaltare la stagione: anche un talento generazionale come Dusan Vlahovic, sempre più spesso affiancato dalla sorpresa positiva – una delle poche – Arkadiusz Milik, sembra sparire all’interno della manovra lenta e macchinosa della sua squadra, venendo costretto ad abbassarsi fino al cerchio di centrocampo per cercare di toccare quei palloni che gli arrivano troppo raramente nell’ultimo terzo di campo, dove la Juventus gioca solo il 25% dei suoi tocchi totali in Serie A.

Ai bianconeri sembra mancare anche un punto di riferimento a cui aggrapparsi, tecnicamente ed emotivamente, all’interno di una partita e del quotidiano. Nella già citata stagione 2014/15, la squadra vide la sfuriata ai microfoni di Gigi Buffon, che era a capo di uno spogliatoio formato da Mandzukic, Evra, Barzagli, Chiellini, Bonucci e Marchisio, giocatori di grande esperienza che avevano reso quel gruppo compatto ed unito. La Juventus ha bisogno di un leader, di un capitano dalla grande personalità che sappia guidare i più giovani sul percorso di crescita e tenere sull’attenti i più esperti: in questo ruolo il protagonista designato sarebbe Leonardo Bonucci, che ha però già dimostrato più volte di avere una personalità polarizzante, irrequieta e divisiva. Non esattamente l’ideale in una situazione così burrascosa, in cui neanche gli altri senatori dello spogliatoio (come Szczesny e Danilo) sembrano riuscire a compattare la rosa per tornare in carreggiata.

Inoltre, non è da sottovalutare il problema atletico. La Juventus di sette anni portava dentro un’idea di lavoro trasmessa da Antonio Conte, proverbialmente uno degli allenatori che sfruttano di più la propria rosa dal punto di vista della corsa e dello sforzo fisico. Ad oggi il ritmo in campo risulta essere buono, in media, per soli 25-30 minuti, dopo i quali si nota un vistoso crollo, solitamente nel corso del secondo tempo dove tutti gli avversari prendono il pallino del gioco, costringendo la Juve a chiudersi in difesa e a subire l’inerzia della partita che spesso la vede cedere in prossimità dei minuti finali.

La matematica non condanna ancora la squadra di Allegri, che però si vede costretta a dare un segnale decisivo in questo momento della stagione. Che la vittoria nel derby con il Torino possa essere quella scintilla tanto attesa dai tifosi bianconeri? Sicuramente si è intravista la voglia ed a tratti anche delle buone trame di gioco; è certo però che bisogna andare oltre quella precaria condizione psicologica che ha condizionato le ultime uscite sia in Italia che in Europa.