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La plastica in mare: dove siamo arrivati?

Negli ultimi anni, l’attenzione dei governi è stata incentrata verso la tutela e la salvaguardia dell’ambiente. Tutti i giorni, almeno una volta, leggiamo di incendi, disastri ambientali, sversamenti di greggio, spiaggiamento di cetacei e così via. Per fortuna, altrettante volte, sentiamo di manifestazioni e iniziative per la salvaguardia dell’ambiente sostenute spesso da personaggi di spicco: basti pensare alla giovane attivista diciannovenne Greta Thunberg, costantemente in viaggio, portavoce dell’importanza dello sviluppo sostenibile. In Italia, invece, per la difesa del mare e per la salvaguardia del pianeta blu, troviamo figure come quella di Giorgio Riva il quale, simbolicamente, percorrerà a nuoto 110 km (suddivisi in 5 tappe), compiendo il giro dell’isola dell’Elba.

Il problema più rilevante a livello globale riguarda la condizione marina legata all’inquinamento causato dalla plastica. Il materiale fu ideato da Alexander Parkes (scienziato inglese), tra il 1861 e il 1862 ma solamente dopo la Seconda Guerra Mondiale ha cominciato a caratterizzare la nostra società. Ogni anno, l’uomo produce 450 milioni di tonnellate di plastica di cui 8 milioni finiscono in mare.

Secondo studi condotti da parte della Commonwealth Industrial and Scientific Organization (CSIRO), nel mare sono presenti circa 14,4 milioni di tonnellate di plastica (nel Mar Mediterraneo, circa 53 mila tonnellate). E continuando così, il numero è destinato a crescere. La maggior parte di questi rifiuti provengono dai paesi più sottosviluppati dell’Asia e dell’Africa, non possedendo adeguati impianti di smaltimento. Il fiume Yangtze, in Cina, viene considerato come il maggior “trasportatore” di rifiuti verso l’oceano. Sono proprio le correnti d’acqua – come i fiumi – ad introdurre nei mari il 90% delle plastiche.

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Le materie plastiche, a contatto con la luce e con agenti patogeni, producono delle microplastiche che, con il deterioramento, si riducono in particelle sempre più piccole. Di conseguenza la plastica arriva nella catena alimentare: dai cetacei ai pesci. La specie più colpita è quelle delle tartarughe marine, che la scambiano con il plancton: è un fenomeno che ha colpito il 52% di questi rettili. Le specie coinvolte fino ad ora, secondo una ricerca effettuata dal WWF, sono 700 e di queste 115 sono a rischio di estinzione. Nuove ricerche hanno rivelato che è in aumento il rischio che le microplastiche arrivino sulle nostre tavole, infiltrandosi sia nel pescato sia nell’acqua potabile, influenzando di conseguenza perfino la nostra dieta.

Nell’ambito dell’inquinamento bisogna anche considerare un fattore fondamentale: la corrente marina. Questo è il motivo principale per cui la plastica sta arrivando in punti dove non si pensava che potesse mai arrivare con dei veri e propri “fiumi di plastica”. Nell’Oceano Pacifico è addirittura presente “un’isola di plastica” soprannominata Great Pacific Garbage Patch. Ha un’estensione colossale, si parla di una superficie pari a circa due volte il Texas. Ad oggi non si conosce effettivamente quanto sia grande, l’unica certezza che si ha riguarda la sua costante crescita. Attenzione, non tutta la plastica è visibile. Una parte galleggia ma una grandissima porzione si trova sul fondo marino, come riporta la The Ocean Cleanup (una no-profit olandese che si occupa dello studio dell’ambiente marino con tutte le sue evoluzioni).

Di fronte a tali problematiche, la comunità scientifica non è rimasta a braccia conserte e ha cominciato a studiare metodi innovativi per il recupero della plastica in mare. Ad esempio, la nave Pelikan, nata in Italia, è stata appositamente costruita per la raccolta e il filtraggio così da purificare l’acqua. Inoltre, ha anche altri sistemi per catturare rifiuti oleosi. Ad oggi è considerata la migliore nave al mondo per la raccolta di rifiuti. Nel 2022 arriverà anche il primo modello ibrido.

Nel 2024, vedremo all’opera anche la prima nave ecologica: la Manta. È completamente innovativa ed ecologica, la sua funzione è proprio quella di “un’aspirapolvere di plastica”. Avendo uno stabilimento a bordo, riuscirà a gestire direttamente i rifiuti raccolti. Grazie a ciò, da una stima, raccoglierà dai 5000 alle 10000 tonnellate di plastica all’anno.

Sono state create, sempre in Italia, delle barriere sui fiumi per limitare il riversamento delle plastiche in mare. Iniziata come una sperimentazione nei principali fiumi italiani (per esempio il Tevere e il Po), si attesta che nell’aprile 2021 nella capitale, questo metodo, è riuscito ad accumulare ed intrappolare circa 100kg di plastica ogni giorno, portando ad un totale di 6 tonnellate di rifiuti bloccati.

Un’altra creazione è quella dei cestini mangia-rifiuti. Dei veri e propri cestini, ideati da Pete Ceglinski e Andrew Turton nel 2014, posti sulla superficie dei mari così da catturare i rifiuti superficiali. Ogni giorno ne riescono a raccogliere 1,5 kg, in un anno fino a 500 kg, con una capacità di 20 kg ciascuno (una volta pieni vengono prontamente svuotati).

Secondo il World Economic Forum, entro il 2050 la plastica a circolare negli oceani peserà di più dei pesci che vi ci abitano. Da questi dati, possiamo dedurre che dobbiamo assolutamente cambiare le nostre abitudini e che è necessario porsi come obiettivo il raggiungimento di uno stile di vita plastic free, seguendo i principi delle 4R: recuperare, riciclare, ridurre e riusare. Piccoli accorgimenti che ci permettono di migliorare la condizione del nostro pianeta.