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La polvere sotto al tappeto del «Caso Rubiales» – Parte 2

Un primo, importante feedback riguardo l’episodio, arriva dalla stessa Hermoso pochissimi minuti dopo. In un clima di festa, qualcuno da lontano le chiede qualcosa sul bacio, a cui lei risponde nel mezzo di una risata un po’ imbarazzata: «sì, è successo, però non mi è piaciuto». Il campo comunicativo della scena sembra comunque quello dello scherzo, seppur sporcato da un tocco di amarezza.

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Il polverone mediatico, però, si è ormai alzato e la Federazione corre ai ripari già l’indomani, quando arrivano le prime spiegazioni pubbliche di Rubiales: «C’è una cosa che rimpiango, ed è quello che è successo tra me e una ragazza con la quale ho un magnifico rapporto, come con le altre del resto. Certamente ho commesso un errore e devo riconoscerlo. Ma è stato fatto senza alcuna cattiva intenzione, in un momento di grande esuberanza». A queste parole seguono quelle, sugli stessi toni, di Hermoso, che arrivano però alla stampa tramite la stessa RFEF e non dalla diretta interessata: «È stato un gesto reciproco, del tutto spontaneo per la gioia immensa che deriva dalla vittoria di un Mondiale. […] un gesto naturale di affetto e gratitudine».

Questo non serve a placare le polemiche e nel giro di un paio di giorni la richiesta di dimissioni verso Rubiales si allarga prima a livello nazionale (grazie soprattutto ad un durissimo comunicato dell’AFE, l’associazione dei calciatori), poi a quello internazionale, e la discussione valica anche i confini del mondo sportivo.

Mentre si moltiplicano le dimostrazioni di supporto da parte di colleghe, colleghi e addetti ai lavori, in un comunicato del sindacato FUTPro, Hermoso annuncia di voler difendere i propri interessi sulla questione, condannando per la prima volta apertamente i problemi strutturali di violenza e abuso della federazione. A formare un fronte compatto con AFE e FUTPro è anche il sindacato internazionale, FIFPro, con il primo di diversi comunicati di supporto. Il messaggio è chiaro: tutte le calciatrici e i calciatori sono dalla stessa parte.

La vera frattura arriva però il 25 agosto: un giorno dopo l’apertura dell’inchiesta a suo carico per condotta grave da parte della Commissione Disciplinare della FIFA, Luis Rubiales interviene durante l’assemblea straordinaria dei membri della federazione spagnola. Dal palco, quando ci si potrebbe aspettare la comunicazione delle dimissioni, il presidente si lancia in un discorso delirante, che si apre con la frase «non mi dimetterò» ripetuta cinque volte consecutivamente, con sguardo quasi spiritato.

Tra gli applausi della platea, Rubiales sostiene di aver ottenuto da Hermoso il consenso per il bacio, e poi si lancia contro il suo arci-nemico Javier Tebas – il presidente della Liga – e contro il falso femminismo, definito «una grande piaga nel nostro paese». In un discorso paradossalmente vittimista, il presidente della RFEF dice di ritenersi al centro di una persecuzione, parla di «omicidio sociale», annuncia la sua intenzione di combattere ad oltranza per difendersi. Questo intervento surreale si conclude – e non è un dettaglio – con la standing ovation di gran parte dei presenti.

È il punto di non ritorno, che fa esplodere definitivamente il caso. Immediatamente dopo, Jenni Hermoso si espone per la prima volta sui suoi canali personali. Con una lunga lettera, risponde per le rime a Rubiales, negando qualsiasi forma di consenso e dicendo di essersi sentita «vulnerabile e vittima di un’aggressione, di un atto impulsivo, maschilista e fuori luogo». Ma non solo: l’attaccante spagnola espone la Federazione accusandola di aver fatto pesanti e ripetute pressioni su di sé, sulla sua famiglia e sulle compagne di squadra al fine di minimizzare pubblicamente la questione. A rincarare la dose, sempre tramite i canali di FUTPro, sono tutte le sue compagne: in ottantuno – comprese tutte le giocatrici della rosa campione del mondo – firmano un comunicato in cui annunciano la rinuncia a rappresentare la Spagna in qualsiasi competizione finché l’attuale dirigenza rimarrà in carica.

Da qui in poi, il castello di vetro della federazione spagnola inizia a sgretolarsi: il primo a dare le dimissioni è Paraltro Rafael Del Amo, il presidente della Commissione Calcio Femminile. A seguirlo sono tutti e undici i membri dello staff del CT Vilda. Si tratta del primo, forte, segnale di dissenso interno verso Rubiales. Ad attaccarlo sono anche esponenti di spicco del governo, tra cui la Ministra delle Finanze Maria Jesus Montero e la vicepremier Yolanda Dìaz.

La questione si sposta anche verso il tribunale: prima il 28 agosto, quando la procura di Madrid apre d’ufficio un’inchiesta, poi il 6 settembre, quando la denuncia di Hermoso viene depositata e fa scattare le indagini. I capi d’accusa sono quelli di violenza sessuale e coercizione. 

È la settimana in cui, suo malgrado, Rubiales scopre che nessuna torre del potere è incrollabile, non importa quanto ostinatamente ci si rinchiuda sulla sua vetta. I colpi definitivi arrivano tra il 5 e il 6 settembre. Prima, a scaricarlo sono tutti i giocatori della nazionale maschile maggiore, che tramite la voce del capitano Alvaro Morata trasmettono un comunicato congiunto dal loro ritiro:  «Vogliamo respingere quello che consideriamo un comportamento inaccettabile da parte del signor Rubiales, che non è stato all’altezza dell’istituzione che rappresenta. Ci poniamo con fermezza e chiarezza dalla parte dei valori che lo sport rappresenta. Il calcio spagnolo deve essere un motore di rispetto, ispirazione, inclusione e diversità e deve dare l’esempio con il suo comportamento, dentro e fuori dal campo».

Poche ore dopo, è il presidente ad-interim della Federazione nonché suo ex braccio destro, Pedro Rocha, ad attaccarlo frontalmente: «ci diamo pena e ci vergogniamo per il dolore e l’angustia che ha causato». Si tratta delle prime scuse pubbliche e incondizionate legate al bacio dello scandalo. Dopo aver reitarato la richiesta di dimissioni all’unanimità, Rocha annuncia di aver intrapreso un percorso di indagine interna e revisione dei processi, con l’obiettivo di riformare la RFEF dall’interno.

Si tratta dell’ultimo capitolo di una stucchevole telenovela personale tirata decisamente troppo per le lunghe: il 10 settembre, condividendo un link ad un documento salvato sulla sua cartella Google Drive personale, Luìs Rubiales annuncia le sue dimissioni da presidente della Federazione calcistica spagnola e da vicepresidente della UEFA.
Tuttavia, nel comunicato l’ex-calciatore non esprime particolare pentimento, ma piuttosto reitera tutte le frasi problematiche già espresse in precedenza. «Insistere nell’attesa e aggrapparsi ad essa non contribuirà a nulla di positivo, né per la Federazione né per il calcio spagnolo» è l’inizio della spiegazione, che poi diventa subito velenosa: «ci sono poteri che impediscono il mio ritorno». Prima di parlare ancora una volta di persecuzione e di falsità, però, Rubiales cita quella che forse è stata davvero la motivazione più pesante che lo ha costretto ad abbandonare il suo ruolo: la perdita di credibilità della Spagna in vista della candidatura congiunta con Portogallo, Marocco per ospitare i mondiali del 2030 – in quella che sarebbe la prima edizione ospitata a cavallo tra due continenti.

Questo gesto, seppur monco e tardivo, avrebbe potuto porre fine alle ostilità. L’espulsione dell’ennesima mela marcia del sistema calcio, con tanto di scuse a favore di camera, sarebbe potuta bastare per mettere a tacere una polemica sanguinosa, duratura e dai contorni talvolta tragicomici. E invece, le calciatrici della nazionale spagnola non si sono accontentate di far rotolare le teste di Rubiales e Vilda, ma hanno continuato ad oltranza il loro sciopero chiedendo una vera e propria rivoluzione interna.

Dopo ulteriori strattoni ad una corda sempre più tirata, la tattica dell’oltranzismo ha funzionato: in primis per i sindacati, che dopo oltre un anno di trattative sono riusciti a strappare un nuovo contratto collettivo alle squadre di club, che presenta un salario minimo innalzato a 22.000 euro lordi (a fronte dei 180.000 previsti nel massimo campionato maschile) e destinato a crescere di pari passo con i ricavi della Liga F.
Il 20 settembre, dopo un summit di sette ore con Victor Francos, presidente del consiglio superiore per lo sport, e la nuova CT Montse Tomé, ventuno delle ventitré convocate per le gare di Nations League contro Svezia e Svizzera accettano di far rientrare lo sciopero. La promessa delle istituzioni è quella di intervenire immediatamente per riformare la RFEF, ma anche per promuovere una legge riguardante le «politiche di genere, progressi nella parità retributiva, nelle strutture per lo sport e in particolare per il calcio femminile». Dall’incontro-fiume esce anche la promessa di un tavolo comune tra rappresentanti delle giocatrici, della federazione e dello stesso Consiglio nazionale dello sport. 

Dopo tanta rabbia e sofferenza, il mondo del calcio europeo sembrerebbe dunque lanciato verso una nuova stagione di cambiamento, guidata dai principi del femminismo e della parità dei diritti. Eppure, qualche ombra rimane: al momento di stendere la sua prima lista delle convocate, Montse Tomé ha lasciato a casa proprio Jenni Hermoso, la persona da cui tutto ha avuto inizio, ufficialmente «perché è il miglior modo per proteggerla». Il commento della diretta interessata, affidato all’ennesimo comunicato pubblicato sui social, si porta dietro tutta la rabbia e la tristezza che oramai sono emblematiche della situazione attuale del calcio femminile a livello internazionale: «Proteggermi da cosa? Proteggermi da chi?».
La sensazione è che, anche senza Luis Rubiales in giro, la minaccia alla serenità personale e professionale delle giocatrici – e più in generale delle sportive – continui ad arrivare su più livelli, semplicemente, da tutto ciò che le circonda.