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Reddito di cittadinanza: un’arma a doppio taglio per i giovani

La disoccupazione è una delle problematiche più radicate all’interno del nostro Paese, costantemente al centro di diversi dibattiti socio-politici. Il mondo giovanile è particolarmente sensibile a questa tematica, date le numerose difficoltà che ragazzi e ragazze tra i 18 e i 30 anni riscontrano nel trovare lavoro.

Nel corso degli anni lo Stato ha tentato di attuare diverse politiche mirate a trovare una soluzione a questa problematica, seppure con scarsi risultati. Uno degli strumenti adottati più recentemente è il reddito di cittadinanza, una misura assistenziale erogata dal governo Conte I nel 2019, la quale garantisce un reddito minimo a coloro che rientrano in determinati requisiti economici (ad esempio vivere in un nucleo famigliare con un ISEE sotto un certo livello) e che sono attualmente disoccupati. Tuttavia, questa forma di sostegno economico è stata aspramente criticata numerose volte e spesso utilizzata come capro espiatorio per incolpare i giovani di parassitismo.

Questi ultimi sono infatti spesso criticati per il fatto che si accontenterebbero di un reddito minimo percepito piuttosto che provare a rimboccarsi le maniche e cercare un’occupazione. Si tratta di un luogo comune inconcepibile oltre che completamente errato e che non tiene conto di quella che è l’attuale condizione del contesto lavorativo giovanile.

Il punto non è la mancanza di intraprendenza e voglia di fare dei giovani; il problema è ben più marcato e profondo. Ciò che manca è un sistema occupazionale che non sia basato sullo sfruttamento di ragazzə, riducendo fortemente allo stesso tempo le possibilità di crescita professionale.

I giovani hanno un fortissimo desiderio di indipendenza economica, ma è una volontà che si scontra con l’attuale conformazione del mondo del lavoro in questo Paese.

Il reddito di cittadinanza diventa dunque l’unica alternativa per non sopperire alle carenze evidenti del sistema occupazionale italiano. Queste mancanze si possono riscontrare in più ambiti, dal tirocinante al quale spetta (se è fortunato) un rimborso spese non sufficiente neanche al mantenimento, fino al ragazzo che lavora d’estate come spiaggista per tre euro a ora (ovviamente in nero).

Oltretutto, il reddito di cittadinanza è associato ad un percorso specializzato volto ad accompagnare il percettore all’inserimento nel mondo del lavoro, in collaborazione con i centri dell’impiego locali. Tale percorso è basato sulla sottoscrizione di un Patto per il lavoro in virtù del quale, qualora vengano identificate alcune offerte lavorative ritenute congrue rispetto alle necessità economiche del nucleo famigliare e alle competenze del candidato, quest’ultimo è obbligato a sceglierne almeno una, dovendo rinunciare quindi al sussidio percepito.

 

Tuttavia, l’essere considerato per lo più come un ripiego o una seconda opzione per sopravvivere al fenomeno della disoccupazione, non deve privare questo strumento dei meriti che gli  vanno riconosciuti. Infatti, nonostante alcuni casi di persone che illegittimamente hanno beneficiato del reddito di cittadinanza, (si parla di 1201 solamente da novembre 2021 fino a inizio 2022), diverse analisi mostrano come esso sia stato utile a migliaia di giovani disoccupati.

Il sussidio percepito durante il periodo di disoccupazione è stato infatti fondamentale per moltissimə ragazzə che hanno potuto contare su un sostegno economico che permettesse loro di andare avanti mentre parallelamente portavano avanti il percorso sopra descritto. I dati Istat aggiornati al 30 giugno 2021 mostrano infatti che dei percettori tenuti alla sottoscrizione del patto, il 34,1 % di loro (392.292) ha trovato un’occupazione momentanea o permanente, ed il 38,6 % di questi ultimi sono under 29. Tuttavia, all’interno di questa percentuale va comunque evidenziato un forte gender gap secondo il quale c’è un divario circa del 15% tra uomini e donne.

Inoltre, il fatto che la maggior parte dei richiedenti fossero under 30 che vivono ancora nel loro nucleo familiare, perché impossibilitati a provvedere autonomamente a sé stessi, la dice lunga su quanto sia stato di aiuto questo sussidio, ma anche su quanta strada ci sia ancora da fare. Dei 3.005.878 percettori totali infatti, ben 1.208.843 non hanno ancora compiuto il trentesimo anno di età.

Il beneficio arrecato dal reddito di cittadinanza è fuori discussione, ma la speranza è quella che negli anni ci si focalizzi maggiormente su misure non puramente assistenziali, quanto su politiche volte ad una maggiore integrazione dei giovani stessi all’ interno del mercato del lavoro. Tutto ciò, ovviamente, a condizione che le autorità competenti cambino la propria percezione dei loro dipendenti, i quali non sono schiavi, bensì persone, e che in quanto tali hanno diritto a tutte quelle tutele necessarie affinché la loro integrità morale e professionale non venga scalfita.