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«Liberi Subito», intervista al coordinatore abruzzese Riccardo Varveri

Nei primi giorni di marzo è partita la campagna di raccolta firme per portare la proposta di legge sul suicidio assistito sul tavolo del consiglio regionale abruzzese.  Per conoscere meglio la proposta di legge e capire come e dove si possa supportare, abbiamo intervistato il responsabile della campagna Liberi Subito in Abruzzo, Riccardo Varveri.

Riccardo, come prima cosa ti chiedo una breve presentazione.

«Mi chiamo Riccardo Varveri, ho 25 anni, sono stato il coordinatore della campagna Eutanasia Legale in Abruzzo e ora coordino la campagna Liberi Subito, che mira a regolamentare il suicidio assistito. Sono anche il segretario di Radicali Abruzzo, il partito che da sempre si mobilita per fare battaglie su questi temi.»

Ci spieghi la distinzione tra il suicidio assistito e l’eutanasia?

«C’è una differenza fondamentale fra suicidio assistito ed eutanasia, che si distingue a sua volta in passiva e attiva. In generale si parla di suicidio assistito quando il medico predispone solamente il farmaco letale ma è la persona stessa che se lo somministra. Nel caso dell’eutanasia passiva, il medico stacca le macchine che tengono in vita il paziente, mentre nel caso di eutanasia attiva il medico somministra il farmaco letale».

Cerchiamo di ripercorrere insieme le tappe principali degli ultimi anni: come siamo arrivati oggi a parlare di suicidio assistito?

«Nel 2019 la Corte costituzionale, dopo aver dato un anno di tempo al Parlamento per poter legiferare in materia di fine vita, emana una sentenza, la 242, in cui dichiara sostanzialmente che Marco Cappato non deve andare in galera per aver aiutato Dj Fabo. È come se questa sentenza sancisse l’incostituzionalità dell’articolo 580 del Codice penale, legalizzando, a determinate condizioni, il suicidio medicalmente assistito».

Cosa succede davanti all’immobilismo del legislatore?

«Nel 2021, Marco Cappato insieme all’associazione Luca Coscioni decide di far partire la  raccolta firme per il referendum, mirando a legalizzare l’eutanasia. In quella campagna sono state raccolte più di 1 milione e 200 mila firme. Anche se la Corte Costituzionale aveva emanato la sentenza due anni prima invitando il parlamento ad agire sul fine vita, la proposta di modifica viene bocciata. La spiegazione di questa decisione fa riferimento ad alcuni punti dell’articolo 579 del codice penale che nella versione proposta dal quesito referendario non è stata giudicata sufficientemente a tutela del diritto alla vita, così come costituzionalmente previsto».

Ad oggi, qualcosa si sta muovendo?

«Nel 2023, torniamo a parlare di suicidio assistito. C’è stato il caso, primo in Italia,di Federico Carboni che ha fatto domanda all’Asur delle Marche. Ha dovuto aspettare la conclusione di un iter di due anni e mezzo. L’incertezza dei tempi di risposta alle richieste di suicidio assistito, per una persona che ad esempio è malata di SLA, potrebbe significare il subentro di un decadimento fisico tale da far ricadere la fattispecie in un caso di eutanasia che di fatto in Italia non è ancora legale. Quindi con questa raccolta firme vorremmo garantire una legge che renda possibile il suicidio assistito, svolto con tempi certi».

E vi state già impegnando sul campo per far sì che questo accada.

«Il 20 febbraio ci siamo recati a L’Aquila, al palazzo del Consiglio Regionale, e abbiamo depositato la proposta di legge, la relazione ad essa legata e i moduli che andranno riempiti con le firme per poter iniziare la campagna. Questa è una legge di iniziativa popolare, quindi bisogna passare attraverso determinati step per poterla discutere in Consiglio Regionale. Ci hanno già comunicato che le carte sono in regola e dal 3 marzo possiamo ritirare i moduli. Da quel momento in poi partirà la campagna vera e propria, cioè quella della raccolta firme dei cittadini e delle cittadine abruzzesi».

Come mai la scelta di una legge a livello regionale e non nazionale, come fatto in passato per la proposta sull’eutanasia?

«Da un lato, se raccogliessimo le firme per una legge di iniziativa popolare a livello nazionale, non avremmo la certezza che il Parlamento la discuta, come già accaduto in passato. Dall’altro abbiamo la possibilità di presentare la stessa legge in differenti regioni come garanzia dell’uguaglianza fra tutte, senza dover far fronte ad una legge nazionale con adozioni regionali, potenzialmente diverse. Inoltre, la materia della proposta è sanitaria e come tale di competenza regionale. La campagna è partita anche in altre regioni d’Italia. La prima è stata il Veneto, noi siamo la seconda, a seguire il Piemonte e la Liguria. Giorno dopo giorno se ne aggiungono altre».

Chi si sta occupando dell’organizzazione della campagna? Qual è la percezione dei giovani sul tema? E il loro contributo?

«Le persone che contribuiscono a questa campagna sono volontarie e volontari, tra cui tantissime donne e giovani. Già durante il referendum eutanasia vennero ai tavolini tantissimi ragazzi minorenni, che volevano firmare e non potevano. Davano una mano in qualsiasi maniera era loro possibile. A Teramo, ad esempio, c’è stata una forza giovanile grandissima e in città su cinque, sei volontari per ogni tavolo c’erano circa tre, quattro minorenni; quindi, abbiamo avuto una risposta fortissima da parte dei giovani che sono attentissimi a queste tematiche».

Ultima domanda, quali sono i canali dove vi possiamo seguire per sapere dove e quando venire a firmare?

«Le pagine Instagram e Facebook da seguire sono quelle di Eutanasia Legale Abruzzo , dove potete trovare le varie date dei tavolini che si terranno ogni settimana. La piattaforma che l’associazione ha predisposto è www.liberisubito.it, dove potete dare sia la disponibilità come autenticatori o volontari, sia trovare i tavolini su una mappa geografica per andare a firmare».