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Un libro per l’estate: Palomar

L’estate più calda di tutti i tempi, il lavoro, la sessione che sta per finire: la nostra voglia di leggere potrebbe essere ai minimi storici. A volte, per (ri)scoprire il piacere della lettura è sufficiente il consiglio di un amico, che ha letto quel libro di cui ricordi vagamente il titolo ma non ne sai nulla, oppure un libro per te inedito ma di cui conosci bene l’autore. Te lo fai prestare e ti fermi alla terza pagina perché proprio non ti prende o lo finisci subito, pensi finalmente di aver posseduto il grande segreto della vita, o quantomeno di avere le domande giuste da cui partire, e decreti d’aver appena letto il tuo libro preferito. Il destino dei nostri libri del cuore è imprevedibile, ma vale sempre la pena fare dei tentativi. Se non ti viene in mente nessuno che possa farti da bibliotecario personale di fiducia, ci pensa Newzpaper con questa rubrica – un consiglio alla volta, ché le liste lunghe alla fine se le dimenticano sempre tutti. Il libro per l’estate di oggi, il primo, è Palomar di Italo Calvino, straordinario narratore del secondo Novecento, di cui quest’anno ricorre il centesimo anniversario della nascita.

Di cosa parla? Posso leggerlo sotto l’ombrellone?

La risposta a questa ipotetica prima domanda è che sì, puoi leggerlo sulla sedia sdraio (il lettino è un po’ più scomodo): le descrizioni pulviscolari del signor Palomar e le sue riflessioni ti distrarranno dal fatto che ti stai ustionando; e poi sono racconti brevi e a sé stanti, lunghi cinque o sei pagine ognuno (per un totale di poco più di 100 pagine), quindi puoi sempre fermarti e ricominciare col brano successivo dopo aver fatto un tuffo. Fra l’altro, la prima sotto-sezione, Palomar sulla spiaggia, è ambientata proprio lì (poi in città, a Roma, per finire perlopiù nella sua testa), tra la descrizione maniacale di un’onda, nel nevrotico e fallimentare tentativo di afferrare la realtà nella sua totalità, e la riflessione mentale sul come reagire alla vista di un seno nudo al sole. Quante volte ci siamo chiesti se fosse opportuno girarci completamente dall’altra parte per pudore, o mostrare indifferenza, o al contrario che quest’eccessiva ritrosia si potesse poi intendere come «un atteggiamento di superiorità, una sottovalutazione di ciò che un seno è e significa, un tenerlo in qualche modo in disparte»?

I rovelli mentali di Palomar, lungi dall’essere voli pindarici campati per aria, nascono sempre dall’osservazione diretta di un dato fenomenico, finendo per rappresentare quei pensieri un po’ bizzarri, quasi ossessivi che talvolta si susseguono senza particolare controllo nel nostro cervello, che magari non diciamo a nessuno per non sembrare strambi; quelle associazioni indirette, quelle domande irrisolte che sorgono davanti a una situazione incerta, in cui non si sa se si è compreso bene qualcosa, o se ci si è fatti capire dagli altri, o al contrario talmente banale e quotidiana da stimolare una strana immaginazione divagante, come accade nel museo dei formaggi, in Palomar fa la spesa. L’ansia della scelta durante la fila nel reparto gastronomia, le infinite possibilità di cui per ognuna analizziamo i pro e i contro (gusto, salubrità, conservazione e scadenza, prezzo…), e infine, quando chiamano il nostro numero, facciamo come Palomar, che dimentica l’ordinazione «elaborata e ghiotta» che si era preparato mentalmente fino a quel momento, e «balbetta; ripiega sul [formaggio] più ovvio, sul più banale, sul più pubblicizzato, come se gli automatismi della civiltà di massa non aspettassero che quel suo momento d’incertezza per riafferrarlo in loro balìa». I fischi dei merli in giardino, indecifrabili nel loro significato univoco se non forse per i merli stessi, sono spunto per una riflessione sulla comunicazione in sé, dove

un silenzio, in apparenza uguale a un altro silenzio, potrebbe esprimere cento intenzioni diverse […]; parlarsi tacendo, o fischiando, è sempre possibile; il problema è capirsi. Oppure nessuno può capire nessuno […]. Ma i dialoghi umani sono forse qualcosa di diverso?

Perché dovrei leggerlo?

Come direbbe Calvino – per cui la lettura era ancora più imprescindibile della scrittura – perché no?

Il protagonista, nonché essenzialmente unico personaggio parlante (o meglio, pensante) è stilizzazione dell’uomo contemporaneo, «tardivo» e «nervoso, che vive in un mondo frenetico e congestionato», e «per difendersi dalla nevrastenia generale cerca quanto più può di tenere le sue sensazioni sotto controllo», nel tentativo di «padroneggiare la complessità del mondo riducendola al meccanismo più semplice», schematizzandola entro leggi universali e condivisibili. Le ansie, le frustrate incomprensioni, l’inadeguatezza, il dubbio sistematico, e al tempo stesso l’incapacità ad arrendersi: un personaggio singolare, a tratti buffo o fastidioso, intrappolato dal suo stesso metodo d’interrogazione del mondo, in un costante vortice d’incertezze, ripiegamenti, correzioni. In almeno una situazione della vita, tutti siamo stati Palomar, o comunque potremmo esserlo: vedere la realtà quotidiana con occhi diversi, curiosi, indagatori, fare esercizi di descrizione come allenamento all’osservazione meticolosa, ma anche all’immaginazione (molto divertente il brano sulle tartarughe che fanno sesso), all’apertura mentale verso ogni aspetto del mondo, che ci abbraccia e ci contiene. Conoscere ed essere riconosciuti da esso, anche attraverso il rapporto con gli altri, e scovare sempre qualcosa per cui meravigliarsi: «la sensazione che sei qui ma potresti non esserci, in un mondo che potrebbe non esserci ma c’è».

Ogni pagina di questo libro – asciutto ed essenziale, dal ritmo agile e dal tono semplice, ironico e piacevolissimo – è preziosa, e si situa nell’ambito di quella costante ricerca letteraria improntata all’azione, al non arrendersi all’indicibile e all’incomprensibile, che Calvino chiamava «della sfida al labirinto»; simile a quell’«anello che non tiene», alla «maglia nella rete» di Montale. L’idea di conoscenza come quête aperta ed incessante, non come dominio e possesso definitivo, è uno dei tanti suggerimenti esistenziali che questo libro potrebbe regalarti.

La sua ultima opera pubblicata in vita, Calvino la riassume icasticamente così: «Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato».