Si sono appena concluse le Olimpiadi Invernali di Pechino 2022, ma i riflettori che illuminano il pattinaggio artistico non si sono ancora completamente spenti. Questo perché la gara individuale femminile è stata accompagnata da uno scandalo che ha coinvolto la favoritissima quindicenne russa Kamila Valieva, risultata positiva ad un test antidoping effettuato in occasione del Campionato Nazionale Russo. La Russian Anti-Doping Agency, da cui è stato pubblicato il risultato, ha avanzato la proposta di rinviare la sospensione di Valieva, accettata poi dal Comitato Olimpico Internazionale e dal Tribunale Arbitrale per lo Sport in attesa di ulteriori accertamenti, per non causare un «danno irreparabile» all’atleta.
Tralasciando la correttezza di questa scelta, che effettivamente non ha impedito a Valieva di vivere un trauma (il rodeo mediatico che si è scatenato è durato diversi giorni, culminando con la pessima prova nel programma libero, chiuso al quarto posto), questa storia rientra in realtà in un contesto ben più oscuro.
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È infatti opportuno spostare l’attenzione sulla scuola da cui provengono tutte le atlete russe che hanno preso parte alla competizione olimpica, la Sambo-70, la cui figura di riferimento è l’allenatrice Eteri Tutberidze, affiancata da Daniil Glejchengauz e Sergei Dudakov.
La fama di questa squadra nasce dalle numerose competizioni vinte dalle sue giovanissime atlete, di solito neanche diciottenni, che presentano elementi tecnici precedentemente quasi assenti in campo femminile. Allo stesso tempo, le ragazze di Sambo-70 tendono ad abbandonare presto le competizioni, spesso anche a causa di infortuni maturati nel tempo, con gli allenatori che trovano sempre modo di rimpiazzarle.
Fin da Julia Lipnickaja nel 2014, si sono susseguite fino ad oggi una sfilza di ragazze adolescenti, capaci quasi sempre di occupare le prime posizioni in tutte le competizioni, e che sono state subito rimpiazzate appena dopo il loro ritiro.
Lipnickaja, dal bronzo mondiale del 2014, negli anni ha perso posizioni, cambiato squadra e si è ritirata nel 2017, a causa di un infortunio alla gamba e di un disturbo alimentare con cui combatteva da anni.
Uscita dalle scene, è stata subito sostituita da Evgenia Medvedeva, classe 2000 capace di portarsi a casa l’oro mondiale nel 2016 e nel 2017. Nel 2018, anno Olimpico, arriva Alina Zagitova (anch’essa sedicenne), che riesce ad ottenere l’oro a Pyeongchang, davanti proprio dalla compagna di allenamento.
Entrambe sono poi sul podio mondiale nel 2019, salvo poi ritirarsi nel 2020: Medvedeva a causa di un infortunio alla schiena con cui conviveva da anni, Zagitova per lo stress del non riuscire ad essere più performante come un tempo.
Anche loro, quasi come replicanti, vengono sostituite prontamente da tre nuove promesse: Alena Kostornaia, Anna Scherbakova e Alexandra Trusova, che dominano tutte le gare nel 2020 e nel 2021 con i loro quadrupli e tripli axel.
Nel 2022 si aggiunge a loro Valieva, che sembra ancora una volta alzare l’asticella e sbaragliare tutte le concorrenti. Alle Olimpiadi di Pechino Valieva, Trusova e Scherbakova avrebbero voluto occupare l’intero podio. Invece Valieva finisce quarta, concludendo la gara tra le lacrime; le stesse di Trusova, finita seconda dietro la connazionale Scherbakova. Altro caso esemplare di quest’anno è quello di Daria Usacheva, quindicenne che ha rinunciato al suo primo anno senior a causa di una frattura da stress al fianco.
In tutte queste storie sembrano esserci dei fili conduttori.
La tecnica di allenamento di Tutberidze parrebbe puntare ad avere a disposizione corpi estremamente esili che possano saltare e ruotare molto velocemente. Lei stessa non lo nasconde nelle interviste: dice di controllare continuamente il peso delle allieve, perché anche 200 o 300 grammi possono inficiare la buona riuscita di un salto.
Non a caso, nel 2018 Zagitova affermò di non aver bevuto acqua alle Olimpiadi per paura di prendere peso; e allo stesso tempo l’allenatore Glejchengauz ha esaltato in un’intervista Scherbakova perché non si lamenta di mangiare «solo due gamberetti a cena».
Ne deriva, ovviamente, che non appena il corpo inizia a svilupparsi, comportando anche un aumento fisiologico di peso, le atlete perdono la fluidità che le caratterizzava.
Al contempo è tipico del team di Sambo-70 incolpare le proprie atlete nei casi di fallimento. Per Tutberidze, Lipnickaja perse l’occasione olimpica nel 2014 perché non capace di reggere la pressione, dimenticandosi che al tempo aveva quindici anni. Quando Medvedeva iniziò il suo declino, l’allenatrice addossò la colpa al fatto che l’estate precedente avrebbe preferito gli spettacoli all’allenamento, ignorando totalmente il suo infortunio alla schiena ed il naturale sviluppo fisico. Nel caso di Zagitova fu colpa del fatto che quando la madre si trasferì a Mosca dopo le Olimpiadi del 2018 lei divenne una «mammona che non voleva più passare dodici ore in palestra». È però necessario ricordare che un accordo tra la madre di Zagitova e la scuola prevedeva che non si trasferisse lì prima dell’evento olimpico. Per quanto riguarda Usacheva, invece, la giustificazione di uno degli allenatori fu che a quindici anni bisogna sapere quando fermarsi.
Ma dopotutto Tutberidze è la stessa che afferma di non voler passare troppo tempo con le atlete perché un rapporto affettivo più stretto potrebbe peggiorarne il comportamento in allenamento; la stessa che al termine del programma fin troppo falloso di Valieva a Pechino, che le ha comportato la perdita di tre posizioni, la ha accolta esclamando rabbiosa «perché hai mollato dopo il primo axel?».
Il caso-doping di Valieva rientra quindi in un disegno più grande. Dovrebbe essere un punto di partenza per indagare, per tentare di tamponare una ferita sanguinante, che finora è stata lasciata aperta.
Anzi, è stata peggiorata dalla Federazione Internazionale, che è arrivata a premiare Tutberidze come miglior allenatrice al mondo. Per quanto i risultati confermino questo titolo, a quale costo li si sta raggiungendo? Sebbene l’ISU stia pensando di innalzare l’età minima per partecipare alla categoria senior, ci sono ancora troppe zone buie riguardanti i metodi di Tutberidze e troppe domande tutt’ora senza risposta.