Anche quest’anno ci stiamo avvicinando alla stagione estiva, e con i primi caldi ritornano anche i classici discorsi che ruotano attorno alla vita in vacanza. Si comincia con la solita psicosi sulla prova costume che ancora non riusciamo a buttarci alle spalle, accompagnata dall’improvvisa attenzione ai più moderni trend di moda per sfoggiare in ogni occasione la versione migliore di sé. Questo sembra essere l’anno delle trasparenze, dei cappotti appariscenti, dei vestiti e dei look monocromatici. Glitter, paillettes e pelle ci hanno accompagnato finora e continueranno per i prossimi mesi.
Eppure, come per il mondo della moda, c’è sempre qualcosa che rimane immutato, parole che ogni anno vengono ripetute in modo alienante. In particolare, ogni anno la bella stagione si apre con un motto imprenditoriale evergreen: «C’è carenza di personale».
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Il mondo del lavoro nell’ambito del turismo e della ristorazione continua a scontrarsi con l’eterno problema della mancanza di personale. In particolare di personale giovane, dato che molto spesso i lavoratori stagionali sono persone ancora non inserite nel mondo del lavoro, che hanno bisogno di un’occupazione temporanea per tamponare le spese in attesa di trovarne una definitiva.
Un dilemma senza soluzione dato che gli imprenditori stessi rimangono senza parole di fronte a giovani che rifiutano paghe che sembrano variare tra i 1200 e i 1800 euro mensili, a seconda della formazione, o addirittura fino a 63mila euro lordi l’anno. Come dimenticare a riguardo le parole di Alessandro Borghese, tra i più famosi ristoratori italiani, o di proprietari si strutture alberghiere o di stabilimenti balneari che imputano questa mancanza all’assenza di spirito di sacrificio, o addirittura al reddito di cittadinanza.
A primo impatto sembra proprio che questi imprenditori dal buon cuore abbiano ragione. I dati relativi agli stipendi medi di camerieri, baristi e lavoratori stagionali si aggirano intorno a cifre che spaziano tra gli 800 e oltre 2000 euro al mese, come da CCNL Turismo. Ma purtroppo i numeri da soli non bastano quasi mai a dare una reale interpretazione dei fatti.
Basta voltare il capo e rivolgersi ai diretti interessati, ovvero chi nell’effettivo nel mondo del turismo e della ristorazione ci lavora davvero. Nella realtà dei fatti gran parte del lavoro in questo ambito è basato su contratti a chiamata spesso pagati in nero (e non sul Contratto Nazionale). Inoltre sono innumerevoli le testimonianze di giovani lavoratori che si sono ritrovati a lavorare fino a 12 ore al giorno, anche nei festivi, senza giorni liberi. Tutto ciò senza un minimo aumento in busta paga, dove questa fosse presente. Alla fine dei giochi si finisce per lavorare anche a meno di cinque euro l’ora, a fronte di un contratto che ne prevede magari 7 o 8, sempre nei casi in cui ci sia un’effettiva regolamentazione. Come riportato da Parma Today, la situazione è ben peggiore di come viene dipinta, e basta una rapida cernita delle offerte di lavoro per rendersene conto.
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Ebbene, complici anche un cambiamento culturale in atto in cui spesso le nuove generazioni hanno una visione del lavoro non totalizzante e una sempre maggior attenzione al proprio benessere fisico e psicologico, lavorare in un contesto del genere non sembra più portare i benefici sperati. In questo discorso rientra anche un problema più generale di aumento del costo della vita. Sebbene i generosissimi imprenditori, memori della loro esperienza, credano manchi lo spirito di sacrificio, il punto è in realtà diverso e ben più complesso.
Da un lato le nuove generazioni sanno che lavorare richiede sacrificio, eppure i frutti dello stesso sembrano non arrivare mai. Con le paghe che nell’effettivo vengono percepite a malapena ci si riesce a permettere di pagare le spese di trasporto per recarsi a lavoro e forse qualche uscita con gli amici (sempre che nel weekend non si stia lavorando). Dall’altro lato, per quanto i boomer ritengano il contrario, socialmente parlando, la generazione che è nata e cresciuta nell’agio è la loro. La maggior parte dei lavoratori in questi campi sono venti/trentenni (millennials e GenZ) che nel concreto sono nati o cresciuti in una situazione economica e politica tutt’altro che florida.
Il sacrificio non è più fine a se stesso. Ci si sta semplicemente rendendo conto che il lavoro dei sogni, l’appagamento del guadagnarsi le cose versando fino all’ultima goccia di sudore (se non di sangue) sono delle favole che ci siamo raccontati di fronte a una società che è stata costruita su questi presupposti. E questa presa di consapevolezza spesso non è carica di rassegnazione, anzi è piena di voglia di cambiamento e di scoprire una vita in cui il fulcro non sia necessariamente il lavoro, ma la propria persona, le proprie passioni e la propria rete sociale.
E purtroppo per Borghese, per molti dei proprietari di alberghi e stabilimenti balneari, 12 ore di lavoro al giorno per 5 euro l’ora non sono più un sacrificio possibile.